La povertà è al centro del dibattito politico. Il leader del Pd Dario Franceschini sprona il Governo a fare di più e l'Esecutivo risponde sottolineando la bontà della Carta acquisti, più nota come social card, introdotta tre mesi fa. Il ministro Maurizio Sacconi la concepisce come «l'inizio di un'infrastruttura che rimane».
E vuole farne il fulcro delle nuove politiche contro la povertà. Ma come sta funzionando, in pratica, la Social card? Vediamo.
Punti di forza
- Incrementa in misura significativa il reddito degli utenti. Per valutare l'impatto dei 40 euro mensili forniti dalla tessera - 480 euro annui - sulle condizioni degli utenti bisogna considerare che la maggior parte appartiene al 10% delle famiglie con minor reddito. A queste famiglie la Carta aumenta il reddito mensile in media dell'8% (si vedano Baldini e Pellegrino in www.lavoce.info). Pur non essendo la soluzione dei loro problemi, si tratta di un impatto rilevante.
- La ricevono persone effettivamente povere. Numerose prestazioni monetarie, nel nostro Paese, hanno l'obiettivo dichiarato di aiutare i poveri ma - nei fatti - si rivolgono perlopiù a persone che non lo sono. Gli stringenti criteri previsti per riceverla evitano alla Carta questa criticità. Su dieci famiglie beneficiarie, si stima che sette appartengano al 10% della popolazione con reddito più basso e due al 10% successivo.
- Rimarrà nel tempo. Nelle politiche sociali italiane proliferano gli interventi una tantum, la cui mancanza di continuità impedisce di rispondere ai bisogni con efficacia. La normativa non è chiarissima in proposito, ma è ragionevole ritenere che la Social card sarà mantenuta anche nei prossimi anni.
Punti di debolezza
- La maggioranza dei poveri non la riceve. La Carta è ancora in distribuzione e le stime disponibili indicano che complessivamente ne fruirà tra il 3 e il 4% delle famiglie italiane, nuclei poveri con anziani o bambini entro i tre anni. Si è molto discusso sulla scelta d'includere alcuni ed escludere altri, analisi più approfondite si potranno compiere una volta terminata l'assegnazione. Ad oggi, i punti fermi sono che il 3-4% delle famiglie costituisce un'utenza assai ridotta rispetto ai bisogni e che la maggioranza dei poveri non riceve la tessera, quale che sia la definizione di povertà adottata (assoluta o relativa).
- Non amplia gli interventi contro la povertà. I 450 milioni annui di spesa per la Social card sono accompagnati da una riduzione almeno uguale dei trasferimenti statali dedicati ai servizi sociali dei Comuni, anch'essi rivolti alle persone in difficoltà. Tale riduzione è dovuta alla contrazione dei finanziamenti agli enti locali e al taglio di 271 milioni del Fondo nazionale politiche sociali. Lo Stato, dunque, non aumenta lo sforzo a favore delle persone deboli, bensì ne trasferisce una parte dai Comuni al livello centrale.
- I trasferimenti monetari da soli sono inefficaci. Gli studi mostrano che l'inserimento sociale e lavorativo dei poveri si ottiene - in molti casi - grazie a un mix di misure economiche e servizi alla persona (di cura, contro il disagio, formativi). Anche la Commissione europea insiste da tempo in tale direzione, da ultimo con la raccomandazione del 3 ottobre scorso. Invece, i già esigui servizi sociali italiani vengono ridotti e la Carta è esclusivamente un trasferimento monetario.
- Una nuova prestazione non era necessaria. La distribuzione della Social card richiede una complessa macchina amministrativa, che causa agli utenti diverse difficoltà e costa al contribuente 20 euro per ogni tessera da attivare (si veda il dossier di Pesaresi in www.anoss.it). Al fine di elevare il reddito dei destinatari, tuttavia, non era necessario introdurre una nuova prestazione perché bastava potenziare quelle esistenti. Si potevano rafforzare l'assegno sociale rivolto ai pensionati e gli assegni familiari per i nuclei con figli, con opportune indicazioni che indirizzassero gli incrementi verso le situazioni di maggiore difficoltà.
- Le modalità di utilizzo sono incoerenti. All'estero s'introduce una tessera con possibilità d'impiego predeterminate - invece degli abituali contributi monetari utilizzabili liberamente - quando si vuole assicurare che persone povere e anche a rischio di devianza usino le risorse economiche assegnate loro per soddisfare i bisogni nutrizionali e non a fini impropri (ad esempio l'acquisto di stupefacenti o alcol). La maggioranza degli utenti della Social card, però, sono anziani, che difficilmente si possono considerare persone a rischio di devianza. Peraltro, i fruitori devono utilizzare la Carta negli esercizi convenzionati ma, al loro interno, sono liberi di acquistare anche beni non di prima necessità, come alcol o altro. Le peculiari modalità di utilizzo tolgono, dunque, alla Social card i benefici di tessere simili utilizzate in altri Paesi mentre rimane l'inevitabile imbarazzo procurato agli utenti ogni volta che la esibiscono alla cassa del negozio.
- La differenza tra Sud e Nord non riflette i bisogni. Nel Meridione si trovano il 35% della popolazione italiana e il 70% delle domande accolte sinora (dato Inps). Queste cifre riflettono la maggior presenza della povertà nel Sud ma non l'effettiva distanza dal Nord. Infatti, la soglia di disponibilità economiche da non superare per ricevere la tessera è la stessa in tutto il Paese, mentre il costo della vita risulta assai diverso. In termini reali, ciò avvantaggia l'area dove il costo della vita è più basso, cioè il Sud.
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