Qualche giorno fa, a un dibattito sulla crisi economica all'assemblea delle piccole imprese bergamasche, nessuno ha posto la domanda: «Ma quando usciremo dalla crisi?». Il fatto mi ha stupito. E mi è stato detto: «È una domanda che non ha molto senso, perché nessuno può seriamente rispondere». Un piccolo episodio, ma dimostra che gli imprenditori stanno acquistando coscienza della crisi, della sua profondità e insieme della sua natura strutturale.
Tre livelli di intervento
È invece meno difficile indicare che cosa realizzare per poter uscire dalla crisi. È un elenco non breve e non semplice. È sufficiente sottolineare che vanno presi in considerazione tre livelli: il macroeconomico; il microeconomico o settoriale; quello aziendale. Ai vari livelli ognuno, nella sua veste, ha la possibilità e il dovere di contribuire.
A livello macroeconomico le cose passano sopra la nostra testa e sembra che competano solo ai Governi. Tuttavia vi è spazio, anche qui, per contribuire, almeno sul piano delle idee, delle proposte, dei suggerimenti, soprattutto da parte dei vertici confindustriali. Anziché limitarsi a implorare aiuti, agevolazioni, soldi veri o falsi, forse cercare di elaborare e sostenere un progetto industriale utile al Paese, all'Europa e ai nuovi equilibri mondiali da ricostruire può rappresentare un contributo non inutile per i propri associati e per il Governo.
A livello microeconomico e settoriale le cose da fare sono moltissime. Una sera, nel laboratorio di Edison scoppiò un incendio. I pompieri lavorarono tutta notte per spegnerlo ed Edison si impegnò al loro fianco. La mattina dopo Edison si recò dal comandante dei vigili e dopo averlo ringraziato, gli spiegò le ragioni per cui le lampade che avevano utilizzato erano sbagliate, e gli donò uno schizzo che indicava come dovevano essere. Così dobbiamo fare anche noi. Impegnarci nell'indispensabile azione di spegnimento dell'incendio, di sopravvivenza delle imprese ma, al contempo, ripensare e correggere le tante cose che non vanno.
Da dove verranno i nuovi posti di lavoro
Se non ora, quando? Bisogna liberare le energie creative e imprenditoriali del Paese dai pesi della cattiva amministrazione, della cattiva politica, dei soffocanti privilegi di categorie protette e neghittose. I nuovi posti di lavoro non verranno dai settori dove esiste sovrapproduzione e sovraconsumo, ma dai tantissimi settori dove esistono bisogni reali e inappagati. Verranno dalla valorizzazione dei nostri giovani ricercatori (il petrolio d'Italia che buttiamo a piene mani); dalle tante cose necessarie per rendere meno invisibili e meno orrende le nostre città; dal salvataggio della sanità dalla penetrante presa parallela della mafia vera e delle mafie politiche e dal suo rilancio come grande forza di sviluppo; dal potenziamento dell'agricoltura moderna con tutti i settori connessi (dalla distribuzione e dalla logistica sino all'industria della meccanizzazione agricola dove l'Italia occupa un ruolo mondiale importante); dallo sviluppo di una politica forestale che non esiste; dal potenziamento del turismo.
Un esempio: la P.A. e i pagamenti ai fornitori
Potrei continuare a lungo. Per sviluppare tutto questo non servono incentivi e agevolazioni, ma solo combattere le forze e le strutture che soffocano tutto ciò che è nuovo, tutto ciò che rende vecchio e immobile un Paese che, sotto la calotta di ghiaccio, freme di vita e d'inventiva. Bisogna fare centinaia di buchi sulla calotta di ghiaccio per far zampillare questa energia. Ad esempio, sfidiamo il ministro Brunetta (che a mio giudizio sta facendo molto bene) ad impegnarsi in un progetto specifico: fare in modo che tutte le amministrazioni pubbliche locali e centrali paghino i loro fornitori in termini commercialmente civili.
Non si tratta di un'agevolazione, ma di contribuire a rendere il Paese normale su un tema che potrebbe giovare al finanziamento delle piccole imprese mille volte di più dell'inaccettabile trovata dei prefetti chiamati a responsabilità improprie nel settore del credito. Sfidiamo il ministro delle Politiche agricole a eliminare lo sconcio dei fondi europei già erogati per la modernizzazione delle macchine agricole (che Francia e Germania hanno già in gran parte distribuito) ma che giacciono inutilizzati (sempre che ancora ci siano) nella pancia delle nostre Regioni e soprattutto di quelle meridionali, Sicilia in testa, sicché centinaia di contratti già firmati non possono diventare operativi per l'inerzia, o peggio, delle burocrazie regionali.
La presenza all'estero delle imprese italiane e le inutili missioni commerciali
Sfidiamo il ministro della spesa a rendere pubblico l'elenco dei costi delle sovraffollate e completamente inutili missioni commerciali realizzate negli ultimi tre anni da ministeri, regioni, enti vari e invitiamolo a stanziare una corrispondente somma come contributi per la presenza delle medie imprese italiane alle fiere mondiali. Anche questo elenco potrebbe continuare, ma credo sia sufficiente per illustrare un concetto: al mondo dell'impresa impegnato per salvare il Paese non si possono più contare frottole.
L'unica agevolazione seria è la riduzione delle tasse
Il tempo del marketing e dei grandi comunicatori è finito. L'unica agevolazione seria è la riduzione delle imposte che passa attraverso lo smantellamento di tutti gli sconci che tengono al palo un Paese dalle grandi possibilità e scoraggiano i suoi giovani. Queste sfide interessano le imprese, ma non possono essere sollevate da loro individualmente. Devono essere sollevate e portate avanti dalle loro rappresentanze politiche e associative, dalla stampa imprenditoriale, da quel gruppetto di economisti che conoscono l'impresa e l'economia imprenditoriale e la rispettano.
Cosa si può fare sul piano aziendale
Anche sul piano aziendale le cose da fare sono molte, ma una serie d'incontri con vari gruppi d'imprese mi ha convinto che le idee sui temi prioritari, sul piano difensivo, sono ormai chiare. Ne voglio solo aggiungere tre che vanno oltre la difesa.
Per la prima ricorro a parole usate da un piccolo imprenditore bresciano: «L'innovazione e la ricerca sono buone per tutti i tempi». Mai mollare, dunque, sulla ricerca e sull'innovazione. Così come non bisogna mai cedere sulla qualità e sullo stile del made in Italy. Sono le nostre risorse più preziose.
La seconda: gli imprenditori che possono e le cui imprese hanno necessità di finanziamenti, dopo aver ottenuto seri e dovuti affidamenti dal Governo e dalle banche, devono porsi seriamente il problema di ricapitalizzare le imprese o con mezzi propri o allargando il capitale.
E ciò si collega al terzo punto: questo è il momento di favorire le aggregazioni e l'unione di forze sia sul piano imprenditoriale che finanziario. Gli imprenditori possono investire con convinzione sul Paese perché, a differenza di quello che predicano i corvi, l'Italia ha dei punti di forza indubitabili che la candidano, nell'Europa e insieme all'Europa, a superare la crisi uscendone più forte di prima. Sempre che la smettiamo di ascoltare gli economisti da avanspettacolo, che non facciamo troppe sciocchezze e che serriamo le fila. Il serrare le fila, espressione un po' dura e un po' bellica, deve, nei nostri tempi di ferro, sostituire il più gentile e salottiero: facciamo squadra.