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Gli editori italiani scettici: il web deve restare aperto

di Paolo Madron

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9 Maggio 2009

Al principio, l'essenza di Internet coincideva molto con l'assenza. Di soldi per usare la Rete: niente pedaggi-barriera che avrebbero fatto a pugni con la filosofia dell'accesso gratuito che ne stava alla base. Veniva considerato un nonsenso far pagare ciò che era nato per essere libero, in quella che sin dagli albori si prefigurava una rivoluzione editoriale all'insegna della leggerezza (del mezzo, e dei costi per diffondervi contenuti).
Adesso, complice la crisi dei giornali, Rupert Murdoch ci ripensa: volete l'informazione? Allora mettete mano al portafoglio perché la cuccagna è finita. Per ora è un'idea, buttata lì come un sasso nello stagno per saggiarne gli effetti con la promessa (minaccia?) di renderla operativa tempo un anno. Il primo è che si è subito cominciato a discuterne, non foss'altro perché il tycoon australiano nei media ha lo stesso ruolo carismatico che ricopre Warren Buffet nella finanza. Se dice una cosa, non parla mai a caso: bisogna starlo a sentire, e soprattutto capire dove va a parare. Anche perché, rara avis in un settore che sta rispondendo alla crisi che lo attanaglia falcidiando i costi, lui è uno che lavora molto sull'innovazione di prodotto. Ma a proposito di innovazione, sarebbe davvero vincente quella di far pagare le notizie su internet?
Ancora alle prese con l'atavico dilemma di conciliare le straordinarie potenzialità del mezzo con un modello di business che lo renda plausibile in termini di ricavi, gli editori italiani un po' nicchiano, un po' sono decisamente contrari, un po' aspettano di capire cosa ne verrà fuori veramente. Di sicuro però sono sensibili al tema, se è vero che i loro giornali hanno enfatizzato le dichiarazioni fatte da Murdoch a margine dell'assemblea di News Co, a differenza delle poche righe dedicatevi dagli stranieri. Anche perché all'estero sanno bene che la questione si ripropone ciclicamente: proprio il Wsj, l'ultima provincia annessa al suo impero, per la sua edizione online ha alternato gratuità e pagamento. E lo stesso New York Times, oggi completamente free (forse ancora per poco), aveva iniziato invece chiedendo ai suoi lettori di abbonarsi.
«Per ora da noi la questione non si pone», dice Antonello Perricone. Da qualche tempo però l'amministratore delegato della Rcs spinge a ogni consiglio d'amministrazione sul pedale dell'online, unica panacea rispetto al declino della carta che molti considerano irreversibile. «Stiamo ancora lavorando sul modello di business, certo è che quello che ora dice Murdoch testimonia che nell'editoria la trasformazione è più veloce e profonda di quanto si pensa». Per Paolo Ainio, ad di Banzai ma per il popolo dell'online soprattutto l'inventore di Virgilio, far pagare l'accesso è una trovata balzana. «Consentirlo solo per abbonamento comporterebbe un drastico calo dei ricavi pubblicitari. Quello al Wall Street Journal online costa 79 dollari. Basta dividere per questa cifra gli introiti da advertising per vedere che la compensazione sarebbe assai ardua. E poi resta la questione di fondo: internet è un sistema talmente aperto che farlo pagare equivarrebbe a snaturarlo».
Anche Lorenzo Pellicioli storce il naso di fronte all'uscita del proprietario di Sky. «Su internet il business model pubblicitario funziona, invece quello a pagamento finora è fallito» spiega l'amministratore delegato della De Agostini. «Se Murdoch pensa al Wsj come paradigma di un'informazione specializzata allora il discorso può funzionare. Ma l'informazione generalista la daranno gratuitamente i blog che hanno la pubblicità come sola forma di finanziamento».
Della stessa opinione è anche Marco Benedetto, che dopo aver lasciato il gruppo Espresso, dallo scorso marzo si è buttato nell'avventura online con un sito, blitzquotidiano.it, che vuole essere un aggregatore di notizie, senza però rinunciare a produrre commenti e analisi in proprio. «Giornali specializzati come il Wsj, il Financial Times o in Italia il Sole24Ore possono fornire contenuti a pagamento, ma per l'informazione generalista il discorso non si pone. E anche se, paradossalmente, tutti gli editori si mettessero d'accordo nel farsi pagare, la rete è talmente grande da rendere il controllo impossibile». Per Benedetto la principale fonte di ricavo resta la pubblicità che si basa sul traffico degli utenti. «Esattamente come la televisione commerciale» dice. «Solo che qui siamo in regime di quasi monopolio, mentre su internet domina la frammentazione».

9 Maggio 2009
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