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Il lavoro? Donne, precari e immigrati

di Orazio Carabini

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1 maggio 2009

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Eccessiva la «forbice» degli stipendi
Quanto guadagna un manager rispetto al dipendente medio? La domanda è risuonata spesso in questi anni, anche nei palazzi della politica. L'Ires-Cgil ha provato a rispondere (vedere grafico): i primi 100 manager guadagnano 100 volte quanto guadagnano operai e impiegati.

Negli ultimi anni, il divario retributivo tra la punta e la base della piramide si è molto allargato: bonus, benefit, buone uscite hanno dato a una élite di supermanager la possibilità di guadagnare in un anno quanto gran parte della popolazione non guadagna in una vita. Non sempre con un aggancio ai risultati della loro impresa. E quando è arrivata la crisi, è arrivata anche la resa dei conti.

I manager nel mirino
La stagione d'oro dei manager (più posti e soprattutto più soldi) è finita. Ed è arrivato il tempo della sofferenza. Sono state 1.550 le risoluzioni contrattuali assistite dalla Federmanager nel primo trimestre 2009. Proiettate su base annua sono 6.200, contro le 3.578 del 2008 e le 2.867 del 2007. E si stima che siano solo il 60% del totale. «È inoltre sempre più frequente – aggiunge Giorgio Ambrogioni, presidente di Federmanager – il declassamento a quadro: le imprese dicono al dirigente "se non ti fai declassare, ti licenzio" e il dirigente accetta». Anche perché la realtà retributiva della categoria è ben diversa da quella dei top manager di cui si legge nei bilanci delle società quotate. La media è 120mila euro, 5mila euro netti al mese. E gli ultimi accordi si sono conclusi con la rinuncia ai bonus e la riduzione dei benefit.

Il numero dei manager è in netta diminuzione. Nell'industria, nelle utility, nella finanza. «Le piccole imprese – conclude Ambrogioni – sono le prime a rinunciare ai dirigenti: le famiglie azioniste riprendono il comando rinunciando al contributo di professionalità che il manager può portare».

Più forte il peso degli immigrati
Negli ultimi anni la tenuta dell'occupazione si deve soprattutto agli immigrati. Mancano dati precisi, ma il presidente dell'Istat Luigi Biggeri ha detto in un'audizione al Senato che nel biennio 2007-08 si è registrato «un forte incremento della componente straniera e un calo in quella nazionale». Ha anche aggiunto: «Malgrado le apparenze non è possibile però parlare di sostituizone di mandopera italiana con personale proveniente dall'estero, le due tendenze opposte si registrano infatti in settori d'attività e in profili professionali molto diversi tra loro». È quello che Giuliano Cazzola, senatore Pdl, chiama il problema del lavoro rifiutato: «Nel Paese del "precariato", dove i giovani sono descritti come "schiavi moderni", vi sono dei lavori – stabili, ben retribuiti, a volte persino nel pubblico impiego – che vengono rifiutati». Secondo un'indagine Unioncamere-Excelsior, il 65% dei posti da infermiere fatica a essere coperto, come il 53% dei saldatori o il 50 dei verniciatori e dei carrozzieri e il 42% dei cuochi. In parte è un problema di formazione, ma molto dipende dal fatto che gli italiani rifiutano quel tipo di lavoro.

La piaga eterna dell'evasione fiscale
Il 35% dei contribuenti (14 milioni su 40,8 milioni) nel 2007 era nella no tax area, dichiarava cioè meno di 10mila euro di reddito. Il 58,4%, quasi 24 milioni, si colloca nella fascia che va da 10mila a 40mila euro. Solo il 2% (829mila persone) dichiarava più di 70mila euro e solo lo 0,9% (355mila) ne dichiarava più di 100mila. I ricchi "veri", quelli oltre 200mila euro, erano solo 69mila. In larga parte lavoratori dipendenti e pensionati.

Possibile? Passano gli anni e la questione fiscale non si risolve. L'evasione continua a essere elevata e le imposte non diminuiscono: secondo l'Istat, nel 2007 il carico fiscale e contributivo sulle famiglie ha toccato un massimo storico del 29 per cento.

Meno morti sul lavoro, ma sempre troppi
Al lavoro si muore. Meno, ma si muore ancora. Se nel 2001 i casi d'infortunio con conseguenze mortali sono stati 1.546, nel 2008 sono stati, secondo l'Inail, 1.140 contro i 1.207 del 2007. Il trend è in calo e non bisogna dimenticare che questi dati includono gli incidenti avvenuti nel percorso casa-lavoro (un terzo del totale nel 2007).

Nel confronto internazionale l'Italia, malgrado il costante miglioramento degli ultimi anni, non fa una bella figura. Gli ultimi dati disponibili risalgono al 2004: con 944 casi mortali (esclusi quelli del tragitto casa-lavoro) era prima nella classifica Ue, davanti a Germania (804) e Francia (743).
Poi ci sono gli infortuni che restano intorno ai 900mila casi l'anno.

1 maggio 2009
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