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Per la Cgia di Mestre un contribuente su 3 rischia l'inadeguatezza per gli studi di settore 2008

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18 luglio 2009

I correttivi anticrisi già introdotti per gli studi di settore non bastano. Le difficoltà dalla congiuntura sono state ancora più forti e per l'anno di imposta 2008 un contribuente su tre rischia di non essere congruo e non adeguato con gli studi di settore. Vale a dire non rispetta quanto richiesto dall'Amministrazione finanziaria in termini di ricavi e conseguentemente di tasse da versare all'Erario. Lo stima la Cgia di Mestre, rilevando che pertanto, su una platea di circa 3.700.000 partite Iva che sono interessate dagli studi di settore, circa 1 milione e 200 mila attività non risultano essere in linea con le pretese del fisco.
Dalla Cgia ricordano che per l'anno di imposta 2007 i non congrui e non adeguati erano circa uno su 4, precisamente il 26,3% contro il 33,5% che si ipotizza si registrerà nel 2008.
«È il frutto della congiuntura in atto», afferma il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi, che invita «tutti coloro che sono vittime della crisi a non adeguarsi a quegli studi che hanno pretese non giustificabili».

«Le stime che abbiamo elaborato per l'anno di imposta 2008 ci dicono che molti operatori economici hanno subito delle ripercussioni economiche durissime e nonostante le modifiche, gli accorgimenti e i correttivi anti crisi introdotti negli ultimi mesi dall'Amministrazione finanziaria, questo strumento non è ancora in grado di fotografare con obbiettività la situazione economica che grava sul Paese. Con la conseguenza che a molti autonomi si chiede di pagare di più rispetto all'anno scorso su incassi presunti che non corrispondono alla realtà», spiega Bortolussi.
«Sia chiaro - aggiunge - il ministro Tremonti non ha nessuna responsabilità. Ha ereditato una situazione molto compromessa e sta tentando con determinazione di recuperare e alcune delucidazioni avvenute nei mesi scorsi lo confermano. Per il 2009, ad esempio, l'Agenzia delle Entrate ha ribadito con forza come gli studi di settore siano solo uno dei parametri su cui si baserà il lavoro di accertamento fiscale». Se prima, infatti, la non congruità poteva potenzialmente far scattare un accertamento con adesione da parte del fisco - precisa la Cgia - oggi il non adeguamento non lo avvia più con certezza.
Inoltre, nel caso il contenzioso finisca presso la Commissione tributaria sarà l'Agenzia delle Entrate, e non più il contribuente, a dover dimostrare l'esistenza di maggiori ricavi non dichiarati. «Per questo - conclude Bortolussi - stiamo invitando tutti coloro che sono vittime della crisi a non adeguarsi a quegli studi di settore che hanno pretese non giustificabili dopo il peggioramento del quadro economico avvenuto nell'ultimo anno».

La Commissione parlamentare sull'Anagrafe Tributaria: «E' vero, gli studi di settore sono troppo rigidi».
«Oggi non vi è chi non veda come gli studi di settore, da soli, siano fisiologicamente incapaci di individuare in maniera credibile la capacità contributiva. Evidentemente, se l'evasione ha dimensioni ancora patologiche nel nostro Paese, una parte di responsabilità va attribuita anche alla complessiva inadeguatezza degli studi di settore. È quindi opportuno un cambio di passo». È quanto affermano i parlamentari della Commissione bicamerale di vigilanza sull'Anagrafe Tributaria nel documento conclusivo dell'indagine sull'evasione in un passaggio che interviene sugli stessi argomenti messi in risalto dalla Cgia di Mestre. Il rapporto sostiene inoltre che «gli studi di settore vanno "ridimensionati" a favore di altri meccanismi di accertamento che permettano di raggiungere risultati maggiormente significativi» e tra questi ci potrebbe essere «una piena valorizzazione del redditometro».
Per la commissione parlamentare «gli studi di settore, nell'ultimo periodo, si sono rivelati ancora una volta uno strumento particolarmente "rigido", non in grado di cogliere le specificità, anche territoriali, che caratterizzano i singoli contribuenti. La crisi economica e la conseguente caduta di redditività delle imprese ne hanno messo chiaramente in evidenza i limiti. Governo e amministrazione finanziaria hanno fatto il possibile per ridare credibilità agli studi di settore, prevedendo correttivi specifici (c.d. correttivi anti-crisi)». Viene inoltre ricordato come sia stato chiarito che «rappresentino una presunzione semplice che, per essere impiegata utilmente in fase di accertamento, richiede una serie di elementi ulteriori, come gli indici di capacità di spesa e la loro attitudine ad individuare, insieme e più dello studio di settore, situazioni di anomalia».


Di seguito una tabella che riassume 10 anni di studi di settore (dati in %):
AnnoCongrui naturaliCongrui adeguati
in dichiarazione
Totale Congrui Non Congrui
199849,019,568,531,5
199952,618,471,029,0
200060,114,374,425,6
200162,915,077,922,1
200266,813,680,419,6
200371,110,581,618,4
200468,614,783,316,7
200570,716,387,013,0
200656,018,374,325,7
200757,216,573,726,3
200851,515,066,533,5
18 luglio 2009
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