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Per la Casa Bianca il vero pericolo è una nuova bolla

di Paolo Madron

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5 agosto 2009

Qual è l'arma più pericolosa, a parte le atomiche della Corea del Nord e le quasi atomiche dell'Iran? Il prezzo del petrolio. Parola di Barack Obama, che l'estate scorsa si fece la domanda e si diede la risposta in uno dei tanti discorsi tenuti durante la campagna elettorale. Il futuro presidente disegnò uno scenario inquietante, con il gallone a 12 dollari e un paese sempre più bisognoso di importare greggio. Ma era luglio, e Obama parlava con il barile a 147 dollari che aveva appena toccato il suo record. «Non me ne intendo di petrolio ma occhio alle bolle», aveva scritto nell'occasione George Soros, uno che se ne intende, richiesto di un parere dalla Harward Business Review. Fin qui però ci arrivava anche l'anonimo automobilista imprecante davanti alla pompa.

Poi, per il sollievo di tutta l'economia già in recessione, l'altrettanto precipitoso calo fino ai 33 dollari di dicembre, tale però da non generare illusioni sul suo perdurare. Troppo basso, oltretutto, anche per favorire la verde metamorfosi verso le energie rinnovabili che, nonostante ultimamente parli solo di riforma della sanità, resta uno dei capisaldi dell'agenda di Obama. Perché per il petrolio esiste una banda di oscillazione tra i 65 e gli 80 dollari, sopra e sotto la quale gli effetti sono comunque nefasti. Per esempio, troppo in basso comporta che automaticamente gli americani tornano a comprare Suv e auto di grossa cilindrata vanificando il loro forzato rivolgersi ai modelli più piccoli e più ecocompatibili. Oltre a rendere la ricerca di fonti alternative economicamente costosa. Se troppo alto, tutta l'industria ne soffre, non solo quella direttamente esposta come le compagnie aeree.

Infatti, da gennaio, la corsa riprende fin oltre i 70 dollari con aspettative (qui l'inquietudine si fa incubo) di un ritorno del barile alle tre cifre entro fine anno. Ed è allarme popolare. Protestano tutti, dalle casalinghe ai manager delle aereolinee, dai tassisti ai dirigenti delle Big Three di Detroit, ribattezzate Big Small, perché il danno nasconde la beffa: il governo ha appena concesso e poi rifinanziato gli incentivi alla rottamazione, ma se sale il prezzo della benzina il loro fascino viene largamente vanificato.
Siccome, dopo i disastri di Wall Street, i colpevoli sono sempre gli speculatori, l'indice accusatorio è puntato contro il New York Mercantile Exchange, dove dall'andamento dei future si capisce quanto freddo o caldo sarà il prossimo inverno. Un commissario dell'autorità di controllo, la Commodity future trading commission, avverte che si continua a scommettere a ritmi sostenuti, tant'è che a ogni barile realmente consumato ne corrispondono 27 di carta, pura finanza insomma. Ma se Obama mostra indecisione nell'usare la mano pesante con i banchieri, perché mai dovrebbe farlo con chi scommette sulle materie prime?
Più del prezzo, preoccupare però la sua estrema volatilità – mai così alta dalla crisi energetica dei primi anni 70 – che vanifica le «coperture», con le aziende che stipulano contratti future a lungo termine sul petrolio cercando in qualche modo di proteggersi da tanta aleatorietà. Ma il tema riguarda anche e soprattutto i consumatori, molti dei quali sono parte integrante di un'altra bolla, quella della disoccupazione, che lascia scettici sui "barlumi di speranza" con cui Obama ha salutato l'inizio della fine della recessione. La media, a fine luglio, è abbondantemente sopra il 10 per cento. E quasi tutti i disoccupati, oltre al lavoro, hanno perso la casa, esaurito il plafond delle carte di credito con cui tiravano avanti, e sono agli sgoccioli dei sussidi statali oltretutto scarsi e spesso incassati in grande ritardo. «Provate a immaginare – scriveva settimana scorsa il New York Times – cosa vuol dire per questa gente l'aumento del prezzo della benzina, non solo per le bollette di luce e gas ma per la riduzione della loro già scarsissima capacità di spesa».

Come se ne esce? Le soluzioni stanno quasi tutte nel mantra che sempre più spesso si sente ripetere: per stabilizzare i mercati occorre una forte e nuova sorveglianza che ne stronchi gli eccessi sul nascere. Gli occhi sono quindi tutti puntati sul Department of Energy. «Mi piacerebbe sapere come intendono muoversi per affrontare quello che per un'economia ancora debolissima può essere un altro macigno», si interroga con retorica rassegnazione Raymond Learsy, aurore di Over a Barrel: breaking Oil's Grip on Our Future, un best seller sul tema, «visto che George W. Bush ha infarcito i suoi uffici di vecchi petrolieri». Ma dà anche un suggerimento pratico: «Basterebbe fermare l'acquisto di petrolio per la riserva strategica a calmare la speculazione, almeno fino a interrompere la corsa del prezzo al rialzo. Intanto, al New York Mercantile Exchance, i contratti non sembrano cavalcare le grida di allarme: a dicembre prezzano infatti il barile a 75 dollari, che diventano 80 con data di consegna dicembre 2010.

5 agosto 2009
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