Paul Volcker può essere definito un gigante dell'economia. Nel senso letterale e non della parola. Per la sua altezza: più di due metri. E per la stima che si ha di lui. In un'intervista concessa nel maggio scorso al New York Times, il presidente Barack Obama non ha usato mezze parole: "una persona che ha grande influenza su di me è Paul Volcker".
Sono esattamente 40 anni che Volcker ha modo di influenzare le scelte economico-finanziarie di chi governa a Washington. Prima come sottosegretario al Tesoro poi come presidente della Federal Reserve Bank. Nel 1987, Ronald Reagan non gli rinnovò il mandato al vertice della banca centrale americana. La decisione fu successivamente spiegata in questo modo dal premio Nobel per l'economia Paul Joseph Stiglitz: "perché l'amministrazione Reagan non pensava fosse disposto a deregolamentare a sufficienza".
Visti i danni della deregulation, le sue opinioni sono più che apprezzate che mai. Tant'è che è stato autore/supervisore del rapporto sulla riforma dei sistemi regolatori completato nel gennaio scorso dal cosiddetto Gruppo dei Trenta. Nonostante i suoi 82 anni, Barack Obama lo ha anche scelto per dirigere il President's Economic Recovery Advisory Board, un gruppo di consulenti che consiglia la Casa Bianca sul tema della ripresa economica.
Alla vigilia del primo anniversario della bancarotta di Lehman Brothers, e cioè del culmine della crisi finanziaria internazionale, Il Sole 24 Ore gli ha chiesto un incontro per un'intervista a 360 gradi.
Cominciamo con la sua decisione, nel gennaio 2008, di dichiarare pubblicamente il suo sostegno all'allora candidato Barack Obama. Era la prima volta che lo faceva?
Prima di lui l'ho fatto solo con Bill Bradley, l'ex cestista che nel 2000 si è candidato alla presidenza.
Sia Bradley che Obama sono democratici, lei come si definisce politicamente?
Quando ho cominciato a votare mi ritenevo un repubblicano. Ho cominciato a votare per il partito democratico con Adlai Stevenson. Poi ho sostenuto Kennedy. Una volta andato alla Federal Reserve ho però deciso di non voler essere associato ad alcun partito. E comunque avevo capito che uno valeva l'altro! Da allora sono un indipendente. Non sono iscritto a nessuno dei due partiti.
Che cosa l'ha spinta a sostenere Barack Obama?
Pensavo che gli Stati Uniti non stessero andando nella direzione giusta e che in politica l'asprezza e le posizioni per partito preso stavano avendo la meglio. Condividevo il suo desiderio di riunificare il paese e le sue idee sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo.
Si ricorda del vostro primo contatto dopo la sua dichiarazione di supporto?
Era un sabato, o una domenica – un giorno del weekend – e ricevetti una telefonata a casa. Presi il telefono e sentii: "Sono Barack". Io lì per lì pensai fosse una scherzo. "Ma che stai a dire! Altro che Barack, chi sei?' risposi. Ma era lui.
Che cosa l'ha colpita di più di lui?
E' sempre straordinariamente preparato e ben informato. Almeno sui soggetti di cui mi occupo io.
Nell'intervista al New York Times del maggio scorso Obama ha detto che lei gli ha dato "consigli enormi". Mi può fare un esempio di uno di quegli "enormi consigli"?
Non so se la citazione sia accurata. Mi pare sia eccessiva. Abbiamo avuto vari incontri, e io non ho mancato di esprimere le mie opinioni, in particolare sul tema delle riforme finanziarie... non che l'amministrazione le abbia seguite tutte!
Recentemente il Wall Street Journal ha scritto che Obama è un "micro-manager", a volte troppo focalizzato su dettagli insignificanti. Le è parso anche a lei?
Per quello che ho potuto vedere io, non direi sia un micro-manager. Mi pare piuttosto che abbia attorno a sé un team di persone responsabili che hanno la libertà di manovra per implementare le sue politiche.
Che tipo di lavoro ha fatto finora per il presidente o l'amministrazione?
Quello che faccio è limitato. Ma ho un interesse particolare per il tema della riforma del sistema regolatorio e ho ruolo attivo in quel dibattito. Ho presentato le mie idee al presidente e ai suoi consiglieri economici.
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