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La statistica cerca gli eredi del Prodotto interno lordo

dI Anna Zavaritt

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21 SETTEMBRE 2009

Il richiamo del presidente francese Sarkozy ad andare oltre "la religione delle cifre" – cioè oltre il Pil inteso come strumento per misurare la crescita economica – è solo l'ultimo tentativo di definire un nuovo indice che meglio misuri il progresso sociale e il benessere di un Paese. Tentativo su cui sta lavorando, a livello europeo, la commissione Stiglitz, che ha appena pubblicato un «Rapporto sulla performance economica e il progresso sociale». Ma molti Paesi si sono già mossi (Olanda e Canada) o si stanno muovendo (Germania, Finlandia, Irlanda, Nuova Zelanda, Svizzera) per quantificare in forma più completa il proprio "stato di salute".
Dagli anni 80, quando il re del Buthan Jigme Singye Wangchuck coniò il concetto "Felicità interna lorda" (Gross national happiness) – sintesi di vari indicatori un po' generici come promozione dello sviluppo equo e sostenibile, difesa e promozione dei valori culturali, conservazione dell'ambiente e buon governo – sono stati condotti vari studi per trovare elementi più concreti e oggettivamente "misurabili" cui ricorrere per valutare la crescita socio-economica di un paese.
Uno dei primi, e più completi, è il Living conditions index (Lci) olandese, messo a punto già nel 1974 dal Social and Cultural Planning Office (aggiornato nel 1997). Composto da otto indicatori (abitazione, salute, tempo libero, beni di consumo durevoli, attività sportive e vacanze, partecipazione sociale e mobilità), non si basa su un'analisi delle correlazioni lineari tra questi elementi, ma su un'indagine qualitativa dei dati raccolti mediante sondaggi, in "presa diretta", suddivisa per fasce della popolazione (età e classe socio-economica di appartenenza). L'istruzione, il reddito e l'occupazione sono giudicati "risorse" non inglobate nell'indice, ma che aiutano a inquadrarne i risultati. I quali, tenendo conto di più indicatori, sono assai significativi: «Mentre dal 1974 a oggi il Pil è più che raddoppiato (+170%) – spiegano al Netherlands Institute for Social Research –, il Life situation index è cresciuto solo del 13%».
Pure la Germania ha allo studio un indice di crescita sostenibile, con particolare attenzione all'aspetto ambientale, ma l'Umwelt-Barometer Deutschland è attualmente in via di ridefinizione. Così come la Svizzera, che sta valutando uno strumento alternativo per misurare la crescita.
Passando all'altra riva dell'Atlantico, anche il Canada sta definendo un indice di benessere, il Canadian index of wellbeing (Ciw), basato per ora su tre grandi pilastri: gli indicatori delle condizioni di vita (reddito, salute, tassi di povertà, volatilità del reddito e stabilità economica, intesa anche come sicurezza del posto di lavoro, accesso ai beni di consumo e all'alloggio, rete di protezione sociale); gli indicatori del benessere della popolazione, intesi come salute fisica, aspettative di vita, qualità dell'assistenza sanitaria pubblica e privata; e, infine, gli indicatori della "vivacità sociale" (community vitality), che registrano l'attività associativa e la partecipazione dei cittadini alla vita politica e sociale. Anche qui, lo scarto tra crescita del Pil e indice è notevole: dal 1994 a oggi il primo è cresciuto del 30%, il secondo solo del 5%.
Nell'altro emisfero, la Nuova Zelanda ha da tempo sviluppato un nuovo approccio all'analisi dei dati economici, il Sustainable development approach. Non si tratta di un unico indice integrato, ma della scelta di 85 indicatori che toccano 15 diversi aspetti della vita socio-economica, con particolare attenzione anche all'ambiente (qualità dell'acqua, biodiversità, ect..) e alla sostenibilità a lungo termine di questo modello di crescita.
Anche in Irlanda, al posto di un vero e proprio indice, l'Ufficio centrale di statistica (il Cso) ha pubblicato un elaborato saggio sui "progressi misurabili dell'Irlanda" (Measuring Ireland's progress), che analizza in modo quantitativo e comparativo diversi indicatori: l'aspettativa di vita, il livello d'istruzione, il Pil pro-capite, la percentuale di terre incolte, gli investimenti pubblici nella salute, i tassi di disoccupazione e il numero di persone a rischio di povertà, il rapporto tra alunni e insegnanti per ogni grado d'istruzione, il tasso di abbandono scolastico e le emissioni nocive.

21 SETTEMBRE 2009
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