La posta elettronica è ancora più tutelata della navigazione su internet. Anche se lo scambio di mail avviene attraverso il computer aziendale e utilizzando un indirizzo di lavoro, il contenuto dei messaggi deve – in linea di massima; fanno eccezione, per esempio, gli accessi richiesti dall'autorità giudiziaria – restare segreto. Lo dice l'articolo 15 della Costituzione, che sancisce l'inviolabilità della corrispondenza. Rafforzato – se mai ce ne fosse bisogno – dalla legge sulla privacy.
È bene, pertanto, che il datore di lavoro delimiti il campo di utilizzo della posta elettronica aziendale, così da mettere i dipendenti di fronte alle proprie responsabilità. Se poi dovessero comunque verificarsi utilizzi anomali delle mail, i controlli sono possibili, ma non devono mai configurarsi – così come per l'uso del web – quali monitoraggi a distanza dell'attività del lavoratore e soprattutto non devono carpire il contenuto della corrispondenza.
Il controllo, in altri termini, deve essere anonimo e – come spiegato nelle linee guida del Garante della privacy circa l'utilizzo di internet e delle mail in ufficio – graduale. Si parte con le verifiche sull'intera rete e poi, se l'anomalia persiste, si può anche stringere il cerchio su un'area o su un gruppo di dipendenti di un determinato ambito. Mai, però, ci si può concentrare su un singolo lavoratore e soprattutto è da escludere un monitoraggio costante e prolungato. E questo vale sia per internet che per la posta elettronica.
Tanto più che, come detto, i contenuti di quest'ultima sono protetti da particolari tutele. E il Garante ha avuto modo di spiegare che quelle garanzie si estendono anche ai messaggi che ci si scambia nei newsgroup ad accesso limitato. Perfino la mailing list costituita da un gruppo di dipendenti con le dotazioni messe a disposizione dall'azienda è, dunque, da considerare inviolabile.