In Italia, l'economia terziaria vale mille miliardi di euro. Un indotto che dà lavoro a 15,5 milioni di persone (2,9 milioni di aziende) e che non è stato risparmiato dalla crisi. Il solo settore del commercio, nel 2009, ha perso 136mila aziende ed è negativo anche il saldo tra imprese iscritte e cessate nei comparti trasporti, logistica, servizi immobiliari: oltre 7mila attività in meno. In frenata pure l'export, che ha chiuso con un disavanzo vicino ai 10 miliardi di euro rispetto allo scorso anno, nonostante una rilevante consistenza di servizi esportati: 81,4 miliardi. Circa un quinto del valore dell'export merci nazionale. A fotografare lo stato di salute del settore terziario italiano, è la ricerca "Il terziario è un'industria?", presentata, dal Censis, a Palazzo Madama, nel corso di un convegno dedicato al fondatore dell'istituto di Villa Stella Gino Martinoli.
Gli ultimi due anni, ha ricordato lo studio, hanno portato a uno sgonfiamento e a una razionalizzazione del sistema d'impresa terziario, tradizionalmente caratterizzato da una forte dispersione. Oggi, ha sottolineato il presidente del Censis Giuseppe De Rita, nascono meno aziende di quante cessano di esistere, «il che - ha detto - dà l'idea di un elevato turnover ma anche di una sostanziale debolezza strutturale dovuta alla presenza di piccole imprese, spesso unipersonali, a volte il risultato del tentativo di persone che non riescono a collocarsi in nessun altro settore». Il 62% delle unità produttive nei servizi è formato da un solo addetto, in Spagna si scende al 55%, nel Regno Unito al 43%, in Germania al 33 per cento.
Inoltre, la ridotta dimensione aziendale non consente di operare sui complessi mercati internazionali. I numeri parlano chiaro. Il terziario italiano internazionalizzato pesa intorno al 13% del totale delle imprese italiane con partecipazioni all'estero: si tratta di poco più di 3 mila soggetti proiettati attivamente sui mercati oltre confine. Le multinazionali straniere in Italia attive nel terziario corrispondono al 32% delle imprese italiane di servizi presenti all'estero, ma occupano un numero di addetti pari al 127% e realizzano un fatturato pari al 156% di quelle italiane internazionalizzate.
L'intero comparto, tuttavia, prosegue la ricerca, sta affrontando la crisi e specie in alcuni settori mostra segnali confortanti. E' il caso del mondo dei servizi sociali alla persona e alla famiglia, che nell'ultimo quinquennio ha segnato un significativo incremento occupazionale: +29,5% tra il 2004 e il 2009. Ci sono poi aree in consolidamento, che hanno avviato da tempo processi di ristrutturazione interna, come la sanità e l'istruzione, segnate da crescita occupazionale (+4,8%) e rafforzamento della qualità professionale (il 46% di lavoratori laureati). Turismo e grande distribuzione stanno vivendo una stagione di metamorfosi, cambiando gli assetti organizzativi.
Male il commercio al dettaglio, che ha subito un calo di addetti del 7,1 per cento. Ma, in generale, è la bassa qualità dell'occupazione a pesare sul terziario: il 10,2% degli addetti è costituito da lavoratori non qualificati, e sono loro ad aver registrato il tasso di crescita maggiore (+16,4% contro la media del 6,5 per cento). Nell'ultimo quinquennio, dei 944 mila occupati in più nei servizi, 233 mila sono personale non qualificato, mentre le figure altamente specializzate aumentano solo di 79 mila unità.