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«Cina destinazione obbligata
per le imprese italiane»

di Nicoletta Picchio

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11 marzo 2010
Confindustria, Galli: «Cina opportunità per le imprese italiane»

Nel 2010 la crescita in Cina sarà tra l'8 e il 10 per cento. Il numero delle persone benestanti, considerando tale chi ha un reddito superiore ai 30mila dollari, dovrebbe aumentare nel 2030 di oltre 200 milioni di persone, la metà dei 413 milioni previsti nei Paesi emergenti.

Tutti gli indicatori fanno pensare che nel giro di poco tempo la Cina diventerà la prima economia mondiale. E quindi, diventa strategico per le nostre imprese investire oppure esportare in questo Paese. Anche se, accanto alle opportunità, ci sono anche molte ombre: per esempio, la chiusura dei mercati finanziari e il protezionismo, con il Governo cinese che tutela le grandi aziende pubbliche.

È l'analisi che è emersa questa mattina, nel Rapporto della Fondazione Cina "La Cina nel 2010, scenari e prospettive per le imprese", presentato in Confindustria dal direttore generale della Confederazione, Giampaolo Galli, e dal presidente della Fondazione, Cesare Romiti.

La Cina, quindi, è una «destinazione obbligata», sia secondo Galli che Romiti. Ma è una realtà a luci ed ombre. L'obiettivo che si pone la Fondazione, con il Rapporto (è il primo, sarà annuale) è di aiutare le imprese con analisi settoriali, previsioni non solo macroeconomciche. Nel 2010 il Centro studi della Fondazione realizzerà uno studio sulla presenza italiana in Cina e un'indagine sulla percezione che le imprese italiane hanno del Paese. È anche prevista una ricerca e una pubblicazione sulla responsabilità sociale d'impresa in Cina.

Un'attività che interessa Confindustria: «La Cina è diventata una potenza economica di primissimo piano, inoltre, più di altri Paesi emergenti, la Cina è diventata un elemento di stabilizzazione della crisi economico-finanziaria», ha detto Galli. A suo parere l'industria italiana dovrà cavalcare le opportunità che in Cina si aprono grazie al previsto boom dei consumi. Ci sono spazi, nonostante, appunto, il protezionismo che si concentra, secondo il Rapporto, nei settori dell'acciaio, metalli non ferrosi, automotive, chimica, servizi finanziari, telecomunicazioni ed energia.

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11 marzo 2010
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