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IL PUNTO / Ora la palla è a Berlusconi: possono coesistere due destre nel Pdl?

di Stefano Folli

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21 Aprile 2010

Adesso che Gianfranco Fini ha fatto l'unica scelta logica (e prevedibile), decidendo di contare i suoi seguaci e di restare nel Pdl, sia pure in netta minoranza, la parola è al leader. Può tollerare Silvio Berlusconi l'esistenza di un dissenso organizzato dentro i confini della sua creatura politica? In termini politici la risposta dovrebbe essere affermativa. L'esistenza di una minoranza è fisiologica in un grande partito, a maggior ragione in un sistema bipolare, e il premier dovrebbe essere il primo a rallegrarsene.

Ma la fisionomia del Popolo della libertà è peculiare, come insegna la storia del «predellino». E di sicuro Berlusconi non ha mai contemplato l'ipotesi di una fronda. Non stupisce quindi che abbia reagito con stizza agli ultimi avvenimenti.

A esser precisi, il presidente del Consiglio vede la corrente finiana alla stregua di un cavallo di Troia incuneato nel fortilizio del Pdl. Già immagina i guerrieri del rivale uscire dalla pancia del quadrupede e sabotare il programma di governo. Probabilmente Berlusconi sta commettendo un errore e qualcuno, a cominciare proprio da Umberto Bossi, glielo sta facendo notare in queste ore. Del resto la riunione cruciale della direzione è convocata per domani: c'è tempo per rasserenare il clima, sempre che si voglia farlo.

La verità è che il Pdl non è abituato al dibattito interno. Sotto questo aspetto il partito berlusconiano è tutt'altra cosa rispetto ai conservatori inglesi o ai democristiani tedeschi. Tanto più che l'ambizione di Fini è molto alta: aprire il confronto fra le due destre con l'obiettivo di farne prevalere una, la sua. Ossia – nel suo schema – la destra liberale e moderata, attenta ai vincoli costituzionali, rispetto alla destra legata al carisma del leader, plebiscitaria e poco incline a lasciarsi frenare dal quadro istituzionale.

È ovvio che il rapporto di forza è tutto a favore di Berlusconi, come dimostra il documento dei 75 parlamentari ex An che non aderiscono alle posizioni di Fini e che hanno voluto confermare la loro fedeltà al premier. Ma è la prima volta che le due anime della destra si misurano in campo aperto, sia pure nella cornice dello stesso partito. Può essere l'occasione di chiarire molti equivoci che la nascita del Pdl si è portata dietro. Berlusconi ha ragione nell'intravedere rischi per la buona navigazione del governo. Specie al Senato dove i numeri della maggioranza sono più esigui. Ma una resa dei conti con i ribelli, che sulla carta chiedono solo rispetto per le loro idee, sarebbe un sicuro lasciapassare per l'instabilità e forse per la crisi ravvicinata dell'esecutivo.

Tutto lascia pensare quindi che il presidente del Consiglio, per quanto contrariato, lascerà che il gruppo dei finiani si organizzi ed esponga le sue tesi a partire da domani. La condanna degli eretici e il successivo rogo sarebbe in questa fase un atto di autolesionismo con effetti negativi anche sul piano istituzionale. Si dimostrerebbe che non è possibile nel centrodestra la convivenza di opinioni diverse. Di conseguenza anche il tragitto delle riforme sarebbe ostruito. Del resto Berlusconi vede con crescente sospetto proprio il capitolo delle riforme istituzionali. Giudica la questione del presidenzialismo una trappola di Fini, un modo per far passare una nuova legge elettorale. E si mette in guardia. Ma come gli ripete Bossi, in questo frangente non c'è che tentare la coabitazione con il presidente della Camera. La coesistenza delle due destre.

21 Aprile 2010
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