di Stefano Salis
Quando era alla guida del «Times» (per un decennio, dal 1992 al 2002) aveva risollevato le sorti del più compassato giornale britannico – forse il più compassato del mondo – fino a fargli toccare vette mai raggiunte: quasi 900mila copie vendute, con una strategia che puntava a ridurre il prezzo e a scegliere meglio i concorrenti cui strappare lettori. Peter Stothard (59 anni), l'anno dopo aver lasciato la direzione del giornale, ottenne l'onorificenza di membro dell'impero britannico (Mbe) dalle mani della regina Elisabetta II per meriti conseguiti nel campo del giornalismo. Nel 2000, intanto, gli era stato diagnosticato un tumore, motivo per il quale lasciò da parte per un momento il giornalismo attivo e si dedicò alle cure. Del proprio corpo – fortunatamente riuscite – ma anche dell'animo, disinteressandosi della politica (di cui è attentissimo osservatore) e ritornando ai classici. La sua formazione oxfordiana si sarà fatta sentire e Stothard oggi dirige uno dei più autorevoli e seguiti supplementi letterari al mondo, il «Times Literary Supplement», scrive di classici e politica britannica per il «Wall Street Journal» e ha un seguitissimo blog (http://timescolumns.typepad.com). Al festival del giornalismo di Perugia sarà protagonista di due incontri che riassumono la sua personalità: uno sul futuro della "terza pagina", uno sul suo ultimo libro, un viaggio in Italia sulle orme dello schiavo ribelle Spartaco, benedetto da recensioni clamorose in patria e in attesa di essere tradotto in altre lingue.
Come le è venuta l'idea di ripercorrere la strada di Spartaco? Perché proprio questo personaggio?
Dieci anni fa, quando mi sono trovato faccia a faccia con la morte per una rara forma tumorale, ho capito quanto fossero potenti le mie reminescenze classiche di studente e quanto fossero deboli i tanti ricordi di quel che avevo fatto in un arco molto maggiore di anni, da quando avevo smesso di studiare seriamente i classici. Spartaco mi è venuto in mente quando il dolore si era fatto acuto e facevo la chemioterapia – oltre a poeti latini quali Orazio e Stazio, e autori greci come Epicuro e Plutarco. Durante quelle esperienze non ho mai pensato a Blair o alla Thatcher o ad alcuna delle figure degli anni in cui dirigevo il giornale. Sulle prime, per gioco, avevo soprannominato il mio problema, quel nemico annidato all'interno del mio corpo, con l'appellativo classico di Nerone.
In che modo è stato affascinato dall'antica Roma? Quanto si può imparare dalle lezioni della storia?
Da bambino ero fortunato perché avevo grande dimestichezza con il greco e il latino. Da ragazzo ho trascorso diversi mesi sul Lago di Como, insieme a italiani la cui identificazione con i personaggi classici era molto più diretta di quanto avessi mai visto in Inghilterra. Gli inglesi si sono identificati a lungo con eroi letterari come Orazio e con figure politiche come Spartaco. Fu così che, diciottenne, a Como, scoprii come li percepivano gli italiani. Trentacinque anni dopo, mentre stavo scrivendo On the Spartacus Road, quella diversità di visione si è rivelata importante. Avevo imparato dai film e dai libri di storia che Spartaco era stato un grande uomo, un potenziale liberatore, un Garibaldi o un Mandela. Nel 2007, mentre ripercorrevo il viaggio che aveva fatto fra il 73 e il 71 a.C., – Capua, il Vesuvio, il Metaponto, il Gargano, le Alpi, Reggio –, era impossibile non considerarlo invece come una minaccia per le popolazioni locali. Ogni sera, durante il viaggio, scrivevo quello che avevo scoperto su quanto era accaduto a ogni tappa della guerra di Spartaco, come l'avevo scoperto e perché mi interessava. È stata una delle esperienze più strane della mia vita.
Sul futuro del giornalismo lei è tornato più volte. Cosa succederà secondo lei nell'epoca del web alla critica letteraria e ai supplementi culturali dei giornali?
Critica letteraria non significa solo dare la propria opinione, ma un'opinione argomentata, fondata sulla conoscenza e sulla sensibilità, sulla ragione ben applicata e sulla reazione immediata. I critici letterari non sono solo dei lettori con una loro visione della letteratura. Non lo sono mai stati e non dovrebbero mai diventarlo. Il pericolo in rete è che la critica argomentata venga travolta dal volume dell'autoespressione, al punto da impedire di trovarla a coloro che la cercano o che ne hanno bisogno. È per questo che il «TLS» o altri giornali letterari sono importanti. Che siano in rete o sulla carta stampata, fanno da ponte fra la critica accademica e il lettore generico che nutre un interesse per le idee. I giornali che si vogliono seri non dovrebbero rinunciare alla critica letteraria, pur offrendo altre opportunità di opinione.
In che modo Internet ha cambiato il modo di scrivere le recensioni?
Internet incoraggia il dialogo – interno ed esterno – il che è una parte importante del pensiero critico. È meno tollerante in caso di un'esposizione approfondita, anche se la tecnologia come l'iPad può agevolare la lettura di brani più lunghi in rete. Internet potrà arrecare grossi danni solo se indebolirà il valore della critica e se incoraggerà la falsa credenza secondo la quale qualsiasi giudizio, sommario e affrettato, è valido.
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