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L'ECONOMIA E LE IDEE / La pubblicità tra vizi capitali e virtù possibili

di Gianfranco Fabi

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22 Aprile 2010

La trasparenza è uno degli elementi fondamentali perché il mercato possa essere efficiente, cioè rispondere alle esigenze dei consumatori e offrire la migliore qualità dei prodotti al minor prezzo. E trasparenza è sinonimo d'informazione, e appare quasi paradossale che le teorie economiche classiche abbiano quasi sorvolato sull'influenza e sull'incidenza dei fattori legati all'informazione e alla conoscenza.

Per molto tempo è rimasto così nell'ombra il ruolo economico della pubblicità, indubbiamente legato alla crescita dei mezzi di comunicazione di massa. Solo all'inizio del secolo scorso la teoria economica se ne accorge. Alfred Marshall ne parla distinguendo la pubblicità "informativa" da quella "combattiva", quest'ultima considerata uno spreco per la collettività in quanto non solo rischia d'introdurre nel mercato elementi monopolistici, ma non accresce il valore del prodotto, al contrario di quanto accade nel caso della pubblicità informativa. Un altro economista, Alfred Pigou (Economia del benessere, 1921) pur individuando anche potenziali effetti positivi per la collettività, esprime un giudizio complessivamente negativo per i condizionamenti sulle strategie aziendali e sui consumi che la pubblicità può provocare.

Negli ultimi anni bisogna arrivare al 2001 perché il premio Nobel per l'economia venga assegnato a tre americani, Akerlof, Spencer e Stiglitz, per i loro studi condotti sull'influenza dell'informazione nei fatti economici, in particolare sugli innegabili vantaggi che possono derivare ad alcuni grazie alle asimmetrie informative.

La pubblicità ha come caratteristica di essere un'informazione palesemente di parte, e quindi perché il mercato possa esprimere tutte le sue potenzialità anche la pubblicità deve rispondere a regole essenziali di veridicità e completezza. «La trasparenza ispira fiducia e garantisce la libertà dei singoli»: lo afferma Antonio Catricalà, presidente dell'Autorità antitrust che ha anche competenza sulla correttezza del mercato pubblicitario, nel saggio dedicato alla superbia nel libro Pubblicità, i vizi capitali.

E i vizi capitali ci sono tutti perché il messaggio pubblicitario è comunque tale da far leva sugli elementi che condizionano le scelte dei consumatori, elementi che sono sempre più legati ai fattori emotivi, alla soddisfazione personale, al compiacimento della conquista. Ma mettere in luce i vizi vuol dire anche fare la strada alla virtù, introdurre regole per garantire la correttezza dell'informazione pubblicitaria: «C'è bisogno – afferma Catricalà – di controllori ferrei ed efficienti, che sappiano accompagnare il mercato senza soffocarlo e senza consentire abusi, furbizie, prepotenze».

Il punto di fondo è comunque quello di permettere alla pubblicità di esprimere l'enorme potenziale positivo che questa può avere nel favorire la conoscenza e quindi la concorrenza. E questo può avvenire all'interno di uno scenario di regole chiare e mantenendo come guida quella responsabilità sociale che costituisce ormai il filo conduttore del rapporto tra le imprese e il mondo esterno.

http://gianfrancofabi.blog.ilsole24ore.com/

22 Aprile 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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