Tra moglie (e figlie) e marito non mettere lo scudo fiscale. Nelle pieghe del rimpatrio di capitali detenuti all'estero, la vicenda di un costruttore del Nord – già immobiliarista di successo in Spagna negli anni Novanta – è per certi versi emblematica, oltre che molto italiana.

L'uomo, un settantenne già protagonista in patria del boom edilizio di fine anni '80, a pochi giorni dalla scadenza dello scudo è arrivato a scrivere ai ministri Angelino Alfano e Giulio Tremonti, e al direttore delle Entrate, Attilio Befera, perché lo «aiutino» a riportare sotto l'ombrello del Fisco la sua quota familiare di liquidi custoditi in tre banche svizzere e schermati da fondazioni di Liechtenstein e Panama: 32,5 milioni di euro congelati lassù certo grazie a qualche abile maneggio, ma che una giustizia lenta e un po' farraginosa continua ad allontanare invece che inseguire come dovrebbe. Un "ravvedimento operoso", tanto per restare sullo spartito, motivato da amor patrio? La realtà è meno poetica e racconta come, per eterogenesi dei fini, lo scudo possa diventare addirittura un'opportunità processuale. Sull'ingente patrimonio sono aperti procedimenti civili e penali in mezz'Italia e pure in Svizzera, dopo che moglie e figlie avrebbero sfilato al costruttore il suo "onesto" 50% della convenzione familiare anti-fisco: gli atti dicono che il movente della spoliazione integrale stia nello stile di vita troppo "brillante" dell'impresario durante la sua parabola spagnola. Questi, al rientro dell'avventura imprenditoriale iberica, e solo dopo aver dichiarato liquidi e immobili esteri in Unico 2004, scoprì poco alla volta di non aver più nemmeno le chiavi di casa. Da lì la battaglia giudiziaria, tra ricorsi d'urgenza e denunce per riciclaggio "familiare", che continua da cinque anni, tra palleggi negativi di competenza in Italia, rendiconti taroccati e ipotesi di infedele patrocinio in Svizzera. Un pugno di mosche, per il ravveduto contribuente, mentre tra pochi giorni la porta dello scudo chiude i battenti. Non resta che appellarsi ai ministri e al Fisco, proclamandosi colpevole e accusando i tempi della giustizia.