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PROPRIETA' INTELLETTUALE / Brevetti al passo con il mondo

di Fabio Beltram

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23 Aprile 2010

Si avvicina la Giornata mondiale della proprietà intellettuale (il 26 aprile) e il nostro paese, sul tema, si allinea al resto d'Europa. Il consiglio dei ministri ha licenziato nei giorni scorsi il nuovo Codice della proprietà industriale con alcuni importanti cambiamenti sulla normativa esistente in materia. Molti gli aggiustamenti tecnici resi necessari da norme preesistenti poco chiare o addirittura in contraddizione, ma anche alcuni cambi drastici di rotta, in particolare per quanto concerne la ricerca in ambito pubblico (enti di ricerca e università). Su questo versante alcune considerazioni.

Il punto di partenza delle scelte del 2001, confermate dal codice del 2005, che oggi sono in qualche modo invertite, era la presa d'atto della poca sensibilità degli atenei italiani e degli enti pubblici di ricerca a difendere la proprietà intellettuale (ovvero a depositare brevetti) e a valorizzare l'innovazione prodotta nelle università. Vennero così trasferiti i diritti patrimoniali sui risultati della ricerca dall'istituzione in cui questa ricerca viene svolta, al dipendente che effettivamente l'ha svolta. Solo per il caso dei dipendenti pubblici.

La ratio è comprensibile e, applicando una specie di principio di sussidiarietà, i diritti erano tolti a chi non li sapeva valorizzare. Anche la considerazione del salario medio dei ricercatori pubblici, più basso sia dei colleghi europei sia dei colleghi del privato, portava a suggerire questa come una ragionevole manovra di "compensazione".

In questo regime sono passati nove anni, che hanno evidenziato come neppure i ricercatori abbiano la preparazione per gestire la proprietà intellettuale e che i dettagli della legge rendevano complessa la gestione del rapporto con l'ente d'appartenenza cui pure venivano riconosciuti dei diritti patrimoniali. Pochi hanno brevettato da soli: la quasi totalità dei brevetti è stata invece il frutto di accordi privati tra dipendente ed ente con la cessione di parte dei diritti patrimoniali così da consentire all'ente di brevettare, facendosi di norma carico interamente dei costi connessi.

In questi anni abbiamo assistito a un aumento del numero dei brevetti sia nazionali sia internazionali depositati, ma davvero nessuno attribuirebbe questo risultato alla scelta del 2001. Probabilmente, seppure con ritardo, si va diffondendo anche in Italia la coscienza sull'importanza del trasferimento tecnologico. Probabilmente settori sempre più ampi dell'accademia accettano il principio che la ricerca che porta innovazione e può essere trasferita all'industria è ...ricerca. Qualche volta perfino ottima ricerca. Le università hanno poi cominciato ad attrezzarsi per gestire questa materia e la costituzione dell'associazione Netval è la prova che strumenti operativi anche di formazione per la valorizzazione della ricerca esistono e sono utilmente partecipati.

La scelta del 2001/2005 era effettivamente in controtendenza rispetto agli altri paesi europei. Perfino la Germania - che era stata storicamente e tenacemente opposta al principio - nel 2002 aveva trasferito la titolarità dal ricercatore all'ente, fermi restando, come altrove, i diritti morali. Dunque la scelta recente è in linea con gli orientamenti degli altri paesi europei. Questo adeguamento passa attraverso l'estensione della disciplina relativa ai dipendenti privati (art. 64 del vecchio codice) ai dipendenti pubblici. C'è qualche correttivo nel caso d'inadempienza dell'ente: per esempio, dopo sei mesi dalla comunicazione dell'invenzione, in caso di mancato deposito del brevetto il dipendente può depositare a proprio nome.

L'abolizione del vecchio articolo 65 relativo ai dipendenti pubblici ha fatto però perdere un utile principio di indirizzo. Allora, infatti, mentre si stabiliva il diritto patrimoniale del ricercatore, veniva indicato un equo riconoscimento per l'ente (dal 30 al 50%). Ora un indirizzo sull'equo riconoscimento per il ricercatore non si trova più. Sono fiducioso che questa importante indicazione sarà reintrodotta: un intervallo con il 30% come estremo superiore pare condivisibile anche considerando i costi rilevanti che l'ente deve sopportare per il deposito, il mantenimento e talvolta la difesa dei brevetti.

23 Aprile 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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