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Belgio di nuovo senza governo

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Venerdí 23 Aprile 2010

Adriana Cerretelli
BRUXELLES. Dal nostro inviato
«Se sarò eletto primo ministro, regolerò la questione Bruxelles-Halle-Vilvoorde in cinque minuti» aveva annunciato in lungo e in largo il democrstiano Yves Leterme, durante la campagna elettorale del 2008 che nel luglio di quell'anno l'avrebbe catapultato alla testa del governo belga, forte di un successo personale senza precedenti. Oltre 800mila preferenze raccolte in terra fiamminga, la sua.
Per una sorta di crudele legge del contrappasso è stata proprio quella maledetta circoscrizione elettorale, dai problemi linguistici tuttora irrisolti, a far saltare ieri il suo secondo governo, entrato in carica soltanto cinque mesi fa. Dopo che in novembre il suo predecessore, Herman Van Rompuy, aveva rassegnato le dimissioni per diventare il primo presidente stabile del Consiglio europeo.
A dar fuoco alle polveri, un altro fiammingo, Alexander de Croo, il leader del partito liberale Open VLD, che ha abbandonato la coalizione perchè «uscendo vogliamo fare il massimo della pressione per risolvere il problema Bruxelles-Halle-Vilvoorde». Come? Con la scissione tout court della circoscrizione elettorale francofona, autentica isola bilingue circondata da ben 35 comuni fiamminghi. «Votiamo subito in parlamento per dividerla»: De Croo ha lanciato l'appello a tutti i partiti fiamminghi che vi siedono e sono maggioritari. Inutilmente.
Nonostante la defezione dei liberali fiamminghi, la coalizione avrebbe potuto restare in sella, visto che controlla 76 voti in parlamento contro i 74 dell'opposizione. Leterme ha invece preferito rassegnare immediatamente le dimissioni al re, forse anche per prendere in contropiede De Croo.
Alberto II ha preso tempo: si è riservato di accoglierle se proprio non avrà scelta. Nel comunicato emesso dal Palazzo reale il messaggio è chiaro: «Il re e il primo ministro sottolineano che una crisi politica, nelle circostanze attuali, sarebbe inopportuna, e pregiudicherebbe gravemente il benessere economico e sociale dei cittadini come il ruolo del Belgio in Europa».
In un parlamento allo sbando, dove è saltato l'atteso voto sulla legislazione che dovrebbe vietare l'uso del burqa nei luoghi pubblici e dove gli indipendentisti fiamminghi del Vlaams Belang ne hanno subito approfittato per cantare l'inno nazionalista delle Fiandre e issare uno striscione ("è il momento dell'indipendenza") scatenando la furia dei francofoni, nel tentativo di riportare il paese alla ragione uscivano allo scoperto anche la federazione dell'industria e dei sindacati belgi, tacciando «la classe politica di irresponsabilità» in un momento economicamente difficile per il paese.
Con una crescita economica all'1% dopo il crollo del 3% l'anno scorso, una disoccupazione oltre il 10%, un deficit pubblico al 6% e un debito tornato sopra il 100%, di questi tempi il Belgio di tutto ha bisogno, fuorché di attirare l'attenzione di mercati e speculazione sulle proprie fragilità interne. Non solo. Il primo luglio assumerà la presidenza semestrale dell'Unione europea: è vero che il paese è riuscito, dopo la caduta del Leterme I, a stare quasi un anno senza governo in piena bufera finanziaria senza subirne particolari contraccolpi, ma è anche vero che non può rischiare, complice l'instabilità politica, di finire assimilato alla Repubblica Ceca per analoga irrilevanza sulla scena europea.
Tradizionalmente le crisi politiche in Belgio sono facili da aprire ma difficilissime da chiudere, soprattutto in tempi brevi. Il nodo linguistico non è folklore: esprime conflitti di potere, revanscismi socio-economici, incomprensioni culturali, mal di vivere insieme che però non ha serie alternative vincenti nel mondo globale e nell'Europa che si sfilaccia. Depurati degli estremismi reciproci, fiamminghi e valloni lo sanno. Come sanno di essere condannati alla ricerca di eterni compromessi tra loro. Una fatica e anche una gran perdita di tempo. Di cui far sfoggio per dimenticare prima o poi anche questa ennesima crisi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Venerdí 23 Aprile 2010
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