Tragedia greca senza drammi

di Roberto Perotti

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Sabato 24 Aprile 2010
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La Grecia ha bisogno, sembra, di 30 miliardi da qui alla fine dell'anno per pagare il debito in scadenza, i coupons del debito esistente, e il nuovo disavanzo. Poiché la risposta del mercato è incerta, 12 miliardi comincerà a darglieli l'Fmi con il nuovo accordo delineato ieri; per la quota dell'Unione europea bisognerà aspettare le elezioni tedesche del 9 maggio. A quel punto ci saranno due scenari. Nel primo, la Germania mantiene la promessa di qualche settimana fa e, dopo altre settimane di passaggi parlamentari e probabilmente di ricorsi alla Corte costituzionale, contribuisce alla quota di 30 miliardi della Ue. Nel secondo, l'opposizione popolare ha la meglio: la quota tedesca, e probabilmente l'intera quota Ue, si bloccano; l'Fmi forse interviene con un prestito supplementare.
In entrambi i casi, sarà probabilmente troppo tardi. Molto semplicemente, la Grecia ha aspettato troppo ad affrontare il problema del disavanzo. Dopo l'ennesima revisione al rialzo, le misure del governo lo porteranno al 10%, ammesso che si realizzino: raramente gli aumenti di tasse danno tutti gli effetti sperati. Il 10% del Pil non è però certo una cifra che rassicuri i mercati.

Se si aggiungono un debito al 125% del Pil, una crescita attesa negativa, tassi d'interesse a livelli quasi pakistani, e forse un decremento dei prezzi che aumenterà ulteriormente il peso reale degli interessi, la matematica condanna la Grecia. Se taglia il disavanzo in modo più drastico, almeno inizialmente è probabile che la recessione e la deflazione peggioreranno; se invece non taglia il disavanzo, aumentano il debito e i tassi d'interesse. In entrambi i casi, non sembra esserci speranza: il rapporto debito/Pil aumenterà inesorabilmente.

Tutto questo è un dramma per la Grecia, ma non per il resto d'Europa. Perché tanta attenzione a un paese così piccolo? Il primo motivo è il timore di un effetto sui mercati finanziari: le banche tedesche, francesi e svizzere detengono forse 70 miliardi di attività greche. Tuttavia, un eventuale default o ristrutturazione sarebbero parziali, quindi è difficile pensare che sia sufficiente per creare un clima da Lehman Brothers europea. Il secondo motivo è il timore di un contagio su altri paesi europei. In questi giorni l'indiziato principale è il Portogallo, che però è piccolo quanto la Grecia. Poi Irlanda, Spagna e Italia. Tutte e tre però, come notano Alcidi Cinzia e Daniel Gros su vox.eu, hanno un tasso di risparmio maggiore che compensa la prodigalità del settore statale; inoltre Irlanda e Spagna partono da un debito pubblico assai contenuto, mentre l'Italia finora ha saputo tenere sotto controllo il disavanzo.

Mentre è politicamente comprensibile che si voglia tentare un salvataggio di un paese in difficoltà, non si possono ignorare i costi di gettare risorse a un paese che non ha più solo problemi di liquidità, ma probabilmente di insolvenza. Così come nel caso delle banche, un sistema che sempre e comunque assicura il salvataggio di chi sgarra non può funzionare. E mentre tanti paesi in via di sviluppo andati in default in passato potevano invocare la scusante di eventi esterni negativi, ci sono pochi esempi più chiari di paesi che si sono messi nei guai da soli quali la Grecia.
Aiutando la Grecia, l'Fmi fa il suo lavoro; come sempre applicherà condizioni molto onerose, e per questo salutari nel lungo periodo; e come sempre verrà percepito come il diavolo yankee venuto a imporre austerità. È un ruolo cui è abituato, e che fa comodo a tutti i governi, a partire da quello greco. Il salvataggio della Ue sarebbe invece, per motivi politici, molto più riguardoso, e quindi molto meno utile nel lungo periodo alla Grecia stessa.

Quale occasione migliore, per la Ue, di dire «questa volta no»? Oggi chiaramente non è il giorno giusto, con i mercati fiduciosi per l'accordo quasi certo. Ma è un film già visto; l'ottimismo passerà presto, e i problemi della Grecia torneranno al pettine.

Sabato 24 Aprile 2010
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