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Rory, la carta glocal di Cameron

dal nostro corrispondente Leonardo Maisano

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28 Aprile 2010

LONDRA - Non resta che cominciare dai piedi. La vita di un uomo di 37 anni, ha solitamente una definizione precisa, quella di Rory Stewart è un prisma fatto di angoli netti, maschere che coabitano nella stessa persona. Solo i piedi, piuttosto imponenti e molto ben allenati, sono l'elemento apparentemente comune delle tante esistenze di un eccentrico, giovane adulto che, in un rumoroso caffè di Jermyn street, narra sé stesso. Il racconto di una vita vissuta intensamente fissa i contorni dell'ultimo avventuriero, l'epigono di quella genìa di viaggiatori inglesi che per secoli hanno incrociato il pianeta costruendo ponti fra Londra e il resto del mondo. La grandezza britannica passa anche da loro. «Discendo da quella stirpe, ma non ho smania colonialista. La detesto. L'epica del "Grande Gioco" (il libro di Peter Hopkirk sull'espansione inglese in Asia Centrale, ndr), non mi appartiene. Sono un liberale di formazione». E un conservatore di adozione, aspirante deputato nel remoto collegio di Penrith, Cumbria.
Dai piedi si deve cominciare. Tanto atletiche estremità richiedono rispetto perché la constituency se l'è fatta in lungo e in largo, un passo dietro l'altro, camminando per 350 miglia, ovvero 14 chilometri al giorno, per 40 giorni di seguito. Giusto il tempo di scaldarsi per chi, come lui, se ha un appuntamento a Piccadilly si mette in marcia all'alba dalla casa di Oxford. Per chi, soprattutto, ha incrociato, zaino e scarpe di ricambio in spalla, novemila chilometri fra Nepal e India, Afghanistan, Pakistan, Iraq. Un trek divenuto libro che ha rivelato un altro pezzo del più bizzarro aspirante deputato di Westminster.
Per Esquire magazine è addirittura una delle 75 persone più influenti del mondo; per New York Review of Books è un importante collaboratore; per Harvard un docente di Diritti umani; per il principe Carlo un amico; per William ed Henry fu occasionale tutore. L'accento arrotato a Eton e lavato nelle acque del sud-est asiatico dove è cresciuto, ha fatto il resto. Pezzi di una personalità rara che vuole entrare in politica. Ma perché? «Sono stato e sono molto altro. Prima di tutto un funzionario del Foreign Office, impegnato in Indonesia, poi spedito, ventenne, a coordinare la missione inglese in Montenegro. Infine vicegovernatore in Iraq, vice di Barbara Contini. La mia marcia in Asia centrale è avvenuta durante una pausa di questi impegni ufficiali. So come funzionano gli apparati burocratici dello stato, so che relazioni hanno con l'esecutivo, so quindi come la politica deve agire. E lo so anche da imprenditore».
Nelle sue camminate, Rory Stewart ha seminato idee e progetti. Il più riuscito, Turquoise Mountain Foundation, si occupa di recuperare l'antico artigianato per restaurare Kabul. «Il viaggio - riprende - è stato essenziale per capire la gente d'Afghanistan, per sbertucciare chi dice che la guerra è fatta per impedire che il terrorismo arrivi in Occidente. Il 90% di chi combatte non sa collocare Londra su una mappa. Sono favorevole al negoziato con i talebani e sono convinto che il ritiro immediato dall'Iraq sia cosa buona e giusta. Per l'Afghanistan immagino un progressivo disimpegno». Il partito dice altro, favorevole com'è stato a rinforzare la missione alleata, ma su questo e non solo, Rory Stewart, rivendica autonomia dal manifesto Tory.
C'è il sospetto, a volte, che possa rinascere in lui la passione giovanile per il Labour. Lo esclude. «I conservatori sono nel solco della filosofia inglese, in quello di Locke e Hobbes, il Labour è altra cosa, è il razionalismo di Spinoza. Oggi, poi, è ancora altro. Dal 1997 ha scelto di affidarsi allo stato. Invece dobbiamo dare più libertà alla gente, autonomia ai singoli, cominciando con l'eliminazione delle telecamere che controllano tutto...». Rory alza un libro e aggiunge: «Camminare permette di ritrovare la memoria dei luoghi, è una forma antica di relazioni che l'auto e il treno negano. Questo libro "Memoria, un'antologia" è un testo straordinario che insiste sulla connessione strettissima fra conoscenza e memoria e conferisce alla percezione del passato una dimensione autentica. Vale per le persone, ma anche per le nazioni. In Gran Bretagna il concetto di libertà è radicato nella nostra cultura, nella nostra storia, nella nostra memoria collettiva quanto, se non più, di quello di democrazia».
Il Labour ora sembra averlo dimenticato, lascia intendere Rory Stewart. Non i conservatori. Sostiene il people empowerment coniato da Margaret Thatcher, ma sul resto ha qualche riserva. «Credo anch'io che la gente sappia e debba badare a sé stessa, ma Margaret Thatcher nella sua furia modernizzatrice ha distrutto istituzioni perché le considerava elitiste. Dalla Chiesa d'Inghilterra al Foreign Office fino ad Oxford e Cambridge. C'era, c'è del buono, in quei mondi. Se vuole sapere da che parte sto, mi può iscrivere al conservatorismo paternalista di Macmillan, più che a quello thatcheriano». Sembra distante dall'approccio ideologico di David Cameron. Ma questo è ancora magmatico e Rory ci entra e ci esce con gran talento.
Di lui hanno detto tutto e il contrario di tutto, anche che potrebbe aver lavorato per i servizi segreti di sua maestà. Rory Stewart è qualcosa di profondamente diverso da quanto la politica inglese ha offerto fino ad ora. Non solo per il fascino che emana la mimica di un volto profondamente espressivo, ma anche per la capacità di dare unità, nella conversazione, agli angoli del prisma che riflette le sue tante maschere. Il diplomatico, il viaggiatore, l'imprenditore, l'intellettuale. «Ho nel sangue quel senso di avventura che è stato deliberatamente ucciso nella società britannica, ma che vedo riemergere in tanti giovani impegnati in Afghanistan. Forse è vero, il meglio degli inglesi lo si trova all'estero. Quanto a me, sono solo il figlio del mio tempo. Un piccolo don Chisciotte con la passione per i dettagli».

28 Aprile 2010
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