LOS ANGELES - «Salvare la Grecia è uno spreco di risorse pubbliche». Parola di Nouriel Roubini, l'economista della New York University divenuto famoso nel mondo per aver correttamente anticipato lo scoppio della bolla immobiliare e il collasso di Wall Street. Secondo Roubini quello della Grecia non è un problema di liquidità ma di insolvenza, e la cura proposta dall'Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale non potrà che rimandare nella migliore delle ipotesi il problema, con il rischio aggiuntivo di un contagio agli altri paesi deboli della Ue, prima di tutto Spagna e Portogallo, ma anche Italia e Irlanda. La probabilità di una rottura dell'unione monetaria sta crescendo rapidamente, dice. E sta crescendo anche la probabilità che la Grecia si trasformi in un'altra Argentina.
Il problema della Grecia non è solo un livello insostenibile del debito pubblico e del deficit corrente, sostiene Roubini, ma anche e soprattutto una forte perdita di competitività internazionale. In assenza delle riforme strutturali necessarie per ottenere la convergenza fiscale dei paesi dell'Unione, la Grecia ha consentito che i salari salissero negli ultimi dieci anni molto più rapidamente della produttività, e il risultato è stato un rapido e preoccupante aumento del deficit delle partite correnti, giunto ormai al 10% del Pil.
«Anche se la Grecia riuscisse ad abbassare il deficit pubblico dall'attuale 13,6% al 3% del Pil nel giro di tre anni, una condizione inclusa nel piano di salvataggio della Ue e dell'Fmi, la questione della competitività resterebbe irrisolta», ha detto Roubini, arrivato ieri a Los Angeles per partecipare alla conferenza annuale del Milken Institute. «Per affrontarlo seriamente occorre un periodo di deflazione (salari e prezzi in discesa) che potrebbe durare cinque anni, un'opzione politicamente inaccettabile. Insomma una "mission impossible"». Se la Ue e l'Fmi continuano a trattare il problema della Grecia come un problema di illiquidità anziché di insolvenza, la Grecia è condannata a fare la fine dell'Argentina, dove il tentativo di salvataggio nel 1998 è fallito e il paese ha dovuto dichiarare l'insolvenza dopo quattro anni di caos.
Qual è quindi l'alternativa? «Impiegare le risorse pubbliche per ristrutturare il debito greco e pilotare la sua uscita dall'unione europea». E utilizzare parte delle risorse per affrontare l'imminente problema del Portogallo e soprattutto della Spagna, una cui crisi potrebbe avere ripercussioni molto, molto più gravi sul futuro della zona euro. «A mio avviso è solo una questione di settimane se non di giorni prima che scoppi il caso Spagna, basta guardare all'aumento dello spread tra i tassi sul debito spagnolo e tedesco», prevede Roubini, che peraltro al momento dell'intervista ancora non sapeva del taglio del rating sul debito spagnolo da parte di Standard & Poor's. Anche se lo stato delle finanze pubbliche è migliore che in Grecia, la Spagna ha vari problemi aggiuntivi: un tasso di disoccupazione del 20%, una bolla immobiliare scoppiata di recente con gravi ripercussioni sul sistema bancario e sull'economia reale, e una perdita di competitività ancor più pronunciata. A differenza della Grecia, il cui Pil è solo il 3% del totale europeo, la Spagna è una della quattro maggiori economie della Ue, e il contagio al resto dell'unione potrebbe essere insanabile.
Non c'è quindi alcuna speranza di salvare la Grecia? «L'unica speranza sarebbe una politica monetaria più espansiva da parte della Banca Centrale Europea per favorire un deprezzamento dell'euro a 1,2, 1,1 o addirittura alla parità con il dollaro, e una politica fiscale espansiva in Germania per compensare le pressioni deflazionistiche in Grecia e nei paesi costretti all'austerità fiscale». Solo così si può evitare il disastro.