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DIETRO LA STRETTA DELL'ARIZONA / Se l'immigrazione divide gli Usa

di Guido Bolaffi

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29 Aprile 2010

Sull'immigrazione l'America si divide come raramente era accaduto in passato. La legge firmata alla fine della scorsa settimana dalla governatrice dell'Arizona Jan Brewer, che istituisce la clandestinità come reato statale e assegna inediti poteri di controllo alle forze di polizia locali sull'identità degli stranieri, rischia infatti di segnare un vero e proprio punto di non ritorno. Per la semplice ragione che trasforma la durissima e irrisolta lotta politica, che da anni divide trasversalmente partiti politici, lobby economico-sindacali e opinione pubblica americani, in una possibile crisi costituzionale.
Un rischio che può forse apparire esagerato agli occhi di un europeo se si dimentica che a partire dagli anni 80 dell'800 uno dei pochissimi poteri che la cultura federalista americana considera di assoluta e indiscussa competenza dello stato centrale riguarda proprio le norme sull'immigrazione. Un principio a più riprese ribadito in numerose sentenze della Corte suprema e in base al quale gli stati hanno nella materia poteri "ancillari" ma non di supplenza né di sostituzione di quelli federali.
Come si spiega allora l'alea iacta est dello stato che con il Texas, il New Messico e la California rappresenta l'antemurale dell'immenso confine Usa con il Messico? Dopo la sconfitta sulla riforma della sanità e con le elezioni di medio termine alle porte, il partito repubblicano sembra aver deciso di giocare d'anticipo e alzare la posta politica su un tema che può mettere in seria difficoltà l'amministrazione Obama. Stretta tra la necessità di mantenere le promesse di riforma fatte alle comunità immigrate nel corso della campagna presidenziale e quella di non inimicarsi settori molto ampi e inquieti della pubblica opinione. Con una mossa che forse non a caso è partita proprio dall'Arizona, governata fino al 2009 dalla democratica di ferro Janet Reno, oggi braccio destro del presidente in qualità di capo della Homeland Security nazionale. Una scommessa politica che per molti versi è anche una resa di conti interna repubblicana nei confronti del senatore MacCain, anche lui dell'Arizona. Colpevole agli occhi di molti nel suo partito non solo della sconfitta nell'elezione presidenziale, ma, soprattutto, di un eccessivo "aperturismo" pro immigrati.
Ma c'è anche un'altra e forse più importante spiegazione. Secondo un'indagine del Migration Policy Institute di Washington, nel solo 2007 sono state votate, anche se in pochi casi emanate, in 50 States ben 1.059 norme in materia di immigrazione. Di cui addirittura più della metà, 551, riguardanti i lavoratori immigrati clandestini e i loro datori di lavoro. Un profluvio legislativo prodotto da un'inedita spinta a "territorializzare" norme da parte di comunità locali che non si sentono protette dall'amministrazione centrale ai loro occhi troppo lontana e distratta. Dunque, al netto di quel tanto in più tipico di ogni strumentalizzazione politico-elettorale, il significato più profondo dell'evento Arizona sta nel fatto che anche oltreatlantico l'immigrazione sembra destinata a produrre un conflitto tra l'uniformità astratta tipica delle norme centrali e le concrete, diverse necessità delle società locali.

29 Aprile 2010
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