Siamo tutti d'accordo che ha senso erogare prestiti a un paese con problemi di illiquidità temporanea, non a un paese insolvente: in questo secondo caso è meglio riconoscere le perdite e trarne le conseguenze. Due giorni fa Fmi e Ue hanno lanciato l'idea di un prestito alla Grecia di 120 miliardi, per coprire tutte le sue esigenze per i prossimi tre anni e toglierla di fatto dal mercato.

Tre anni sono una strana nozione di illiquidità. L'equivalente di un'operazione del genere con un'azienda privata è un'iniezione di capitale a fondo perduto con l'amministrazione controllata di fatto, come fece il Tesoro americano con Freddie Mac e Fannie Mae. Ma la Grecia non può essere messa in amministrazione controllata, e molti dubitano che sia in grado di attuare le misure necessarie per ridurre drasticamente il suo disavanzo. L'assenso della Germania a questo piano, che le richiede un esborso di 25 miliardi in tre anni, è poi tutto da verificare: fino al 9 maggio, data delle elezioni nel Nord-Reno Vestfalia, i politici tedeschi diranno tutto e il suo contrario, stretti come sono tra la pressione internazionale e i loro elettori. Cosa diranno dopo il 9 maggio non si sa, ma un indizio è che l'86% dei tedeschi sono contrari già al piano originale di "soli" 45 miliardi.

Prima o poi la Grecia molto probabilmente dovrà dunque ristrutturare il debito, ossia fare default. Ma se anche questo piano dovesse dare l'illusione di funzionare per i prossimi tre anni, esso sarà un esempio perfetto dei problemi insiti nell'aiuto a un paese insolvente. Una volta tirata la Grecia fuori dal mercato, gli speculatori si rivolgeranno a Portogallo e Spagna, perché sanno benissimo che l'Unione Europea non ha le risorse per organizzare un salvataggio simile anche per questi paesi.

In questi giorni i giornali e le trasmissioni italiane pullulano di critiche al processo decisionale della Ue, che, in preda a meschini interessi nazionalistici, non avrebbe riconosciuto in tempo il problema greco e l'avrebbe lasciato incancrenire. La Germania e la cancelliera Merkel in particolare non avrebbero saputo riconoscere che salvare la Grecia era nel loro interesse di lungo periodo, anche se finanziariamente e politicamente costoso nel breve periodo.
Già l'idea che i veri interessi di lungo periodo della Germania siano evidenti a tutti noi, ma non alla signora Merkel e ai suoi consiglieri, dovrebbe destare più di un sospetto. In realtà, queste critiche sono profondamente ipocrite: se davvero fosse stato così ovvio che era nell'interesse di tutti salvare urgentemente la Grecia, gli altri paesi europei avrebbero potuto facilmente trovare tra loro gli 8 miliardi che la Germania si rifiutava di contribuire, e poi eventualmente confrontarsi con la Germania.

Queste critiche sono anche dettate dalla retorica europeista ed eurista che prevale in Italia, per cui l'Unione Europea e l'euro sono diventati dei feticci dello status quo politically correct, invece che degli strumenti per migliorare la governance e la politica economica. Questa retorica ci impedisce di vedere che l'euro può funzionare benissimo, e magari meglio, anche senza la Grecia: non c'è alcun motivo tecnico perché non sia così.

Il trattato di Maastricht, che imponeva un limite del 3% al deficit e del 60% al debito pubblico dei paesi che volessero aderire all'euro, era in realtà uno strumento per escludere alcune "mele marce" che agli occhi della Bundesbank avrebbero potuto compromettere il controllo della politica monetaria a causa dei loro problemi di bilancio. Il meccanismo funzionò, per un breve periodo, con la Grecia che fu esclusa fino al 2001; non funzionò invece con l'Italia, per le note vicende. È possibile che alcuni politici tedeschi siano disposti ad accettare un po' di turbolenza nei mercati per alcuni mesi in cambio di ciò che non riuscì allora: escludere una prima mela marcia, e dare un esempio ad altri paesi. Ed è possibile che facendo i propri interessi - cosa inaudita e spregevole in Italia - essi rendano un servizio a tutti noi, e alla stessa Grecia.