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Cucchi, i medici rischiano 8 anni

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Sabato 01 Maggio 2010

Domenico Lusi
ROMA
Sarebbe bastato un cucchiaino di zucchero a salvare la vita a Stefano Cucchi. Lo scrivono i pm Vicenzo Barba e Maria Francesca Loy nell'avviso di conclusione dell'inchiesta notificato ieri ai legali dei 13 indagati per la morte del giovane: tre agenti della polizia penitenziaria accusati di averlo pestato, nove tra personale medico e paramedico in servizio all'ospedale Sandro Pertini di Roma e un dirigente del Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria (Prap). Secondo i pm a causare la morte del geometra di 31 anni, deceduto il 22 ottobre scorso al Pertini dopo essere stato arrestato sei giorni prima per spaccio di droga, fu la mancanza di cure. Per questa ragione a cinque medici e tre infermieri viene contestato il reato di morte conseguente all'abbandono di persona incapace. Un reato più grave di quello di omicidio colposo ipotizzato inizialmente, perché presuppone il dolo e comporta una pena fino a otto anni di carcere anziché cinque.
Nella ricostruzione degli inquirenti, il 16 ottobre 2009 Cucchi fu picchiato con calci e spintoni da tre agenti di custodia nelle celle di sicurezza del tribunale di Roma, poco prima che il ragazzo comparisse davanti al giudice per la convalida dell'arresto. Le condizioni di salute del giovane sono gravi e la macchina per coprire le responsabilità dei poliziotti si mette subito in moto. Il 17 ottobre Cucchi viene portato al Pertini, ospedale destinato a ospitare degenti in condizioni non critiche, anziché in una struttura adeguata. Questo, secondo i pm, per precostituire ai tre agenti un alibi: le condizioni del ragazzo devono apparire nella norma. A tal fine viene scomodato il direttore dell'ufficio dei detenuti del Prap, Claudio Marchiandi, in quel momento a passeggio con la fidanzata perché non in servizio. Marchiandi si precipita al Pertini per convincere il medico di turno, Rosita Caponetti, a ricoverare Cucchi. Dopo una iniziale resistenza, la dottoressa accetta il ricovero, redigendo una falsa cartella in cui le condizioni del giovane sono definite buone, l'apparato muscolare tonico, lo stato di nutrizione discreto. La morte di Cucchi arriverà sei giorni dopo. A provocarla, secondo i pm, le negligenze di cinque medici e tre infermieri che non adottarono «i più elementari presidi terapeutici e di assistenza». Si tratta del primario Aldo Fierro, dei medici Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno, Luigi Preite De Marchis e Stefania Corbi, degli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe. Cucchi, scrivono i magistrati, aveva valori glicemici al di sotto della soglia pericolosa per la vita, ma i medici non intervennero nemmeno per somministrargli un po' di zucchero e acqua, «misura idonea a evitare il decesso».
Tra le altre omissioni, la mancata effettuazione di un elettrocardiogramma, la mancata palpazione del polso e l'assenza di controllo del corretto posizionamento o dell'occlusione del catetere che portò a un accumulo di urina nella vescica tale da comprimere le strutture addominali e toraciche del giovane. Indagata per falso anche Flaminia Bruno, la dottoressa del Pertini che il 22 ottobre certificò che la morte di Cucchi fu naturale. I 9 dipendenti dell'ospedale e il funzionario del Prap sono accusati anche di favoreggiamento per avere aiutato gli autori del pestaggio «a eludere le investigazioni dell'autorità giudiziaria». Per Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici, gli agenti che picchiarono Cucchi, i pm ipotizzano il concorso nelle lesioni volontarie e nell'abuso di autorità.
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