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I GUAI DELL'EUROZONA / Salvare la Grecia? È solo l'inizio

di Martin Wolf

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5 Maggio 2010

A momenti disperati, misure disperate. Dopo mesi di costosi rinvii, la zona euro ha partorito un colossale pacchetto di aiuti per la Grecia. Coinvolgendo, su ingiunzione della Germania, l'Fmi, ha ottenuto un po' di risorse in più e un programma migliore. Ma funzionerà? Al riguardo, ahimè, nutro fortissimi dubbi.
Per alcuni importanti aspetti, il programma è molto meno irrealistico di quello che l'ha preceduto, che non prevedeva l'intervento del Fondo. Spazzato il campo dalla fantasia di una modesta contrazione dell'economia per quest'anno seguita dal ritorno a una crescita costante, il nuovo programma apparentemente prende in considerazione l'idea di un calo complessivo del Pil di circa l'8 per cento. Inoltre, il vecchio piano si basava sull'idea che la Grecia fosse in grado di ridurre il disavanzo a meno del 3% del Pil per la fine del 2012, mentre il nuovo piano fissa questo traguardo per il 2014.
Ci sono altri due aspetti degni di nota: il primo è che non ci sarà nessuna ristrutturazione del debito, e il secondo che la Bce sospenderà per la Grecia il requisito del rating minimo necessario per poter usare i titoli di stato nelle sue operazioni di liquidità, offrendo in questo modo un salvagente alle vulnerabili banche greche. Quindi siamo di fronte a un programma apparentemente sensato, per la Grecia o per la zona euro? Sì e no, in entrambi i casi. Cominciamo dalla Grecia. Atene ormai non ha più la possibilità di accedere ai mercati, dunque l'alternativa a questo pacchetto di aiuti (a prescindere dalla sua applicabilità) sarebbe il default. Il paese in quel caso non pagherebbe più gli interessi sul debito, ma dovrebbe risanare immediatamente il suo disavanzo primario (cioè il disavanzo prima degli interessi sul debito) del 9-10% del Pil, attraverso un risanamento molto più brutale di quello che attualmente Atene ha accettato di sostenere. Inoltre, con un default il sistema bancario crollerebbe. La Grecia fa bene a promettere la luna, per guadagnare tempo ed eliminare il suo disavanzo primario in modo meno traumatico.
Ma si fa fatica a pensare che la Grecia possa evitare la ristrutturazione del debito. Innanzitutto presumiamo, per il momento, che tutto vada secondo i piani. Presumiamo anche che l'interesse medio sul debito a lungo termine si mantenga su livelli non superiori al 5%: in questo caso Atene dovrebbe avere un'eccedenza primaria pari al 4,5% del Pil, con entrate pari al 7,5% destinate al pagamento degli interessi. I cittadini greci sopporteranno stancamente questo fardello anno dopo anno? Un secondo problema è che anche le nuove previsioni dell'Fmi a me sembrano ottimistiche. Considerando gli enormi tagli alla spesa programmati e l'assenza di compensazioni sul fronte del cambio o della politica monetaria, la Grecia probabilmente entrerà in una recessione prolungata. La riforma strutturale risolverà la questione? No, a meno di non produrre un calo enorme del costo unitario del lavoro nominale, perché la Grecia avrà bisogno di un prolungato incremento delle esportazioni per compensare la stretta di bilancio. L'alternativa sarebbe un'enorme espansione del deficit del settore privato, cosa che sembra inconcepibile. Inoltre, se i salari nominali caleranno, il fardello del debito diventerebbe peggiore del previsto.
Willem Buiter, ora chief economist di Citigroup, osserva che ci sono altri casi di paesi ad alto reddito, specificamente Canada ('94-'98), Svezia ('93-'98) e Nuova Zelanda ('90-'94) che sono riusciti a risanare i conti pubblici. Ma le condizioni iniziali in questi casi erano molto più favorevoli. Alla Grecia si chiede di fare quello che l'America Latina fece negli anni 80, dando inizio al decennio perduto di cui beneficiarono i creditori esteri. E considerando che ora i creditori vengono pagati per andarsene, chi li sostituirà? Questo piano di salvataggio sicuramente non basterà per far tornare la Grecia sul mercato, a condizioni accettabili, nel giro di pochi anni. Serviranno altri soldi se non si vuole prendere in considerazione, poco saggiamente, la via della ristrutturazione del debito.
Per gli altri membri della zona euro, il programma previene, nell'immediato, il rischio di uno scossone a sistemi finanziari già fragili: ufficialmente è un salvataggio della Grecia, ma in realtà è un salvataggio delle banche. Non è affatto chiaro però se tutto questo potrà aiutare altri paesi membri attualmente nel mirino. Gli investitori potrebbero facilmente giungere alla conclusione che, viste le proporzioni del pacchetto di aiuti che è stato necessario varare per la minuscola Grecia e le enormi difficoltà incontrate nel giungere a un accordo, sarà molto difficile varare altri interventi del genere. Altri membri dell'euro potrebbero finire abbandonati a se stessi. Nessuno è in condizioni drammatiche come la Grecia e nessuno ha dato prova di altrettanta disonestà. Ma ce ne sono parecchi oberati da un deficit insostenibile e da un debito pubblico in rapida crescita. Da questo punto di vista la loro situazione non è diversa da quella di Gran Bretagna e Usa. Il problema è che non hanno a disposizione le opzioni d'intervento di Londra e Washington.
La storia, insomma, non è finita. Per la zona euro, ci sono due insegnamenti chiari da trarre. Il primo è che ha una scelta netta di fronte a sé: o consente che uno stato vada in default, per quanto caotica possa essere questa eventualità, o crea un'unione reale, con una forte disciplina e fondi sufficienti per ammortizzare i programmi di risanamento da applicare nelle economie in grave difficoltà (Buiter raccomanda un Fondo monetario europeo da 2mila miliardi di euro). Il secondo è che un aggiustamento nella zona euro non può funzionare senza aggiustamenti compensativi nei paesi del nocciolo duro. Se la zona euro è disposta a vivere con una domanda complessiva vicina a livelli di stagnazione, si trasformerà un fuoco incrociato di disinflazioni competitive a danno degli altri stati, facendo affidamento sempre di più ai mercati mondiali come valvola di sfogo per le eccedenze. Un esito che piacerebbe a pochi.
  CONTINUA ...»

5 Maggio 2010
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