Per uno di quei paradossi di cui vive la storia politica, prima di trasformarsi nella più clamorosa storia di successo della sinistra contemporanea il Labour Party aveva rappresentato per larga parte del ventesimo secolo la pecora nera del socialismo europeo. È vero che subito dopo la seconda guerra mondiale era stato proprio un governo laburista a porre le basi di un solido e duraturo sistema di welfare, gestendo la fine dell'impero britannico e contribuendo a definire l'architettura di sicurezza euroatlantica, ma è anche vero che dagli anni Cinquanta in avanti quel partito aveva governato poco e male. E mentre le socialdemocrazie nordiche e poi i socialismi mediterranei macinavano successi e definivano nuovi paradigmi culturali, il Labour aveva finito per rappresentare l'emblema del settarismo inconcludente e ripiegato su se stesso. Soprattutto di fronte alla potenza trasformativa dell'era Thatcher.
Il New Labour ha capovolto questo schema in patria e all'estero, diventando fin dalla metà degli anni Novanta il termine di paragone inevitabile per qualsiasi disegno progressista europeo. In positivo o in negativo, la vicenda laburista più recente ha definito uno standard al quale nessun'altra sinistra europea ha potuto sottrarsi anche quando lo ha fortemente voluto.
Se questo è accaduto non lo si deve né ai segreti del mestiere comunicativo di Tony Blair né a qualche misteriosa macchinazione del circuito internazionale dell'informazione, ma ad una ragione molto più banale. Ovvero alla capacità di quel partito di governare per un lungo periodo di tempo una delle nazioni più avanzate del pianeta, realizzando un programma politico progressista adeguato ai tempi della globalizzazione.
Tradotto in uno slogan peraltro entrato ormai da anni nel lessico della sinistra europea, si è trattato di conciliare la coesione sociale con la crescita economica o la creazione di ricchezza con la sua redistribuzione.
In termini più concreti, è accaduto ad esempio che nell'arco di un decennio il governo laburista abbia più che raddoppiato gli stanziamenti per l'educazione prescolastica (passati da 2 a 5 miliardi di sterline) o abbia moltiplicato da 3,6 a 24 miliardi di sterline le risorse destinate agli strumenti di welfare-to-work, potenziando i meccanismi di mobilità sociale di una delle nazioni più corporative d'occidente nel mentre accompagnava una delle fasi di crescita economica più dinamiche nella storia britannica. Così come il campo dei nuovi diritti civili ha visto l'introduzione di forme di tutela per le coppie di fatto e persino in politica estera, dove Blair ha pagato i prezzi di popolarità più alti, è soprattutto grazie al New Labour che è stato possibile superare quel paradigma di neutralità passiva nel quale la gran parte della sinistra europea si era facilmente accomodata dopo la fine della guerra fredda. È vero che non è accaduto solo questo, così com'è vero che nell'ultimo biennio la crisi ha esposto tutti i limiti della eccessiva finanziarizzazione dell'economia britannica. Ma è difficilmente contestabile l'esito del confronto tra l'esperienza di governo neolaburista e quella di qualsiasi altro centrosinistra europeo nello stesso periodo.
Se questo è stato l'impatto del New Labour sui modelli politici progressisti europei, in profonda crisi di ispirazione dopo l'eclisse della socialdemocrazia alla fine degli anni Ottanta, le conseguenze di tredici anni di governo laburista sono ben visibili anche in patria e anche alla vigilia della più che probabile sconfitta elettorale di Gordon Brown. Perché è proprio in questi giorni che l'offerta politica britannica ci appare stabilmente spostata verso le coordinate progressiste. Con un leader conservatore che rende appassionato omaggio al national health service (il sancta sanctorum della simbologia laburista) mentre annuncia politiche multietniche del tutto inedite per la storia Tory, e un leader liberaldemocratico che si vanta di avere ereditato il meglio della tradizione laburista. La trasformazione in senso progressista dello Zeitgeist politico britannico è forse il successo più grande del New Labour.
Un progetto che era stato etichettato dai suoi critici di sinistra come una svendita del patrimonio ideale laburista al banco del thatcherismo e che invece è riuscito a condizionare sia l'ispirazione che l'agenda del partito che fu di Margaret Thatcher.

 

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