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La California vieta le trivellazioni

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Mercoledí 05 Maggio 2010

Daniela Roveda
LOS ANGELES
I venti decideranno anche oggi quando la marea nera che da dieci giorni galleggia minacciosa nel Golfo del Messico approderà sulle spiagge della Florida e dell'Alabama, ma i venti della politica hanno già iniziato a mettere in discussione il futuro dell'offshore drilling negli Stati Uniti, mettendo a nudo le contraddizioni tra una politica energetica dettata dall'immenso fabbisogno dell'economia e le ambizioni ambientaliste degli Stati Uniti.
Ieri per esempio il governatore repubblicano Arnold Schwarzenegger, commosso e colpito dalle immagini delle tartarughe morte in Louisiana, ha vietato ogni nuova attività di offshore drilling in California, facendo una clamorosa marcia indietro; Charlie Crist della Florida, uno degli stati più a rischio di inquinamento, ha fatto lo stesso, mentre il presidente Obama aveva sospeso tutte le nuove licenze la settimana scorsa. In Parlamento intanto sono volate le accuse contro l'agenzia di vigilanza delle operazioni petrolifere sul territorio americano per non avere imposto misure di sicurezza più stringenti; e i dirigenti della British Petroleum e della Transocean, proprietaria della piattaforma esplosa 15 giorni fa, sono arrivati col capo cosparso di cenere di fronte alla Commissione energia della Camera per spiegare come riusciranno (se ci riusciranno) a fermare il flusso di petrolio che fuoriesce al ritmo di 800mila litri al giorno da una sorgente a 1.500 metri sotto il livello del mare.
La British Petroleum, ultima responsabile delle conseguenze economiche dell'incidente avvenuto il 20 aprile scorso, continua a proclamare che risarcirà tutti i danni legittimi, ma la legge americana paradossalmente impone un tetto alla sua responsabilità finanziaria. L'Oil Pollution Act del 1990, approvato dopo l'incidente della Exxon Valdez, impone un tetto di 75 milioni di dollari ai risarcimenti complessivi (limite messo in discussione in questi giorni, con proposte di innalzamento a dieci miliardi), a meno che il governo non riesca a dimostrare che l'incidente è stato causato da grossolana negligenza, un'accusa difficile da dimostrare. «La Bp dice che pagherà tutto. Figuriamoci!», ha detto ieri il senatore della Florida Bill Nelson. «Pagheranno solo quanto richiesto dalla legge, nulla di più». Lo stesso Oil Pollution Act prevede una responsabilità illimitata per i costi di bonifica e istituisce un fondo straordinario di 1,6 miliardi tramite un'imposta a carico delle compagnie petrolifere. Un piccolo esercito di avvocati è calato intanto sugli stati del Golfo del Messico per iniziare a depositare nei tribunali richieste di risarcimento per i danni causati dall'inquinamento del mare. Le cause collettive non specificano un importo preciso, ma sottolineano che solo l'industria ittica della Louisiana potrebbe perdere 2,5 miliardi di dollari mentre quella del turismo dovrà fare i conti con perdite catastrofiche.
I disperati sforzi per contenere la perdita sottomarina e il danno ambientale hanno dato ieri i primi frutti. È quasi pronta infatti la prima delle tre cupole di acciaio che verranno calate in mare sabato o domenica per coprire la sorgente di greggio e le due falle nelle tubature al fine di intrappolare almeno l'85% del petrolio in uscita per poi pomparlo su una petroliera. La Bp ha iniziato già domenica scorsa a trapanare il fondale per estrarre il petrolio dal giacimento sottomarino e alleviare la pressione nelle tre falle esistenti, ma si sa che questa operazione non potrà iniziare che fra tre mesi.
Le condizioni meteorologiche più clementi hanno consentito tuttavia di mettere in atto alcune tecniche intese a minimizzare il danno ambientale nell'ecosistema del Golfo: dar fuoco al petrolio affiorato in superficie, "scremare" la superficie del mare e raccogliere il petrolio misto ad acqua, gettare in mare altre barriere galleggianti e infine iniettare vicino alla sorgente subacquea sostanze chimiche per disperdere il petrolio. Le correnti dovrebbero spingere questa emulsione petrolifera al largo nei prossimi giorni.
In questi giorni di polemica non c'è nemmeno accordo sulla dimensione del danno ambientale di questo incidente. La marea nera era attesa già lunedì sulle spiagge dell'Alabama, del Mississippi, della Florida e della Louisiana, ma i venti sono cambiati e il peggio non si è ancora verificato. Alcuni esperti, per esempio il professore di scienze ambientali alla Louisiana State University Edward Overton, sostengono addirittura che il danno potrebbe essere trascurabile: questo tipo di petrolio, a differenza di quello riversato nei mari dell'Alaska dalla Exxon Valdez, è facile da bruciare e da disperdere, e potrebbe essere assorbito nel mare e non raggiungere mai le coste, specie se l'operazione con le cupole d'acciaio verrà completata con successo.
In ogni caso è troppo presto per bollare il disastro del 20 aprile «una delle più gravi catastrofi ambientali recenti». La dimensione della perdita impallidisce di fronte ai 130 miliardi di litri finiti nel Golfo Persico alla fine della guerra del Kuwait nel 1991, o ai 500 milioni di litri finiti nella Baia di Campeche in Messico nel 1979. Magra consolazione per i pescatori finiti sul lastrico in Louisiana.
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Mercoledí 05 Maggio 2010
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