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A Roma piace la fine del bipolarismo radicale

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Giovedí 06 Maggio 2010

Lina Palmerini
I finiani per David Cameron e, del resto, furono i primi nel centro-destra a frequentare le tesi dei tories. I democratici per Gordon Brown ma con molte tentazioni verso Nick Clegg. Il Pdl che naturalmente tifa per i conservatori - nonostante Fini - con l'eccezione di Renato Brunetta schierato con l'outsider LibDem. Le elezioni inglesi muovono i recinti politici italiani nelle preferenze per i leader e nell'aspirazione ad assomigliargli in un esercizio che ricorre ogni volta che un voto estero presenta le novità di oggi della Gran Bretagna. Con un elemento in più rispetto ai tradizionali dibattiti sui programmi e le parole d'ordine: ossia, questa volta perfino il radicato bipartitismo inglese può vedere il suo tramonto. Ipotesi che rianima i terzisti italiani - prima infatuati di François Bayrou e ora di Nick Clegg - da tempo impegnati a smontare quello che chiamano "bipolarismo muscolare".
Ma cominciamo da chi resta nello schema bipartitico. Lo schieramento più scontato è quello degli amici del presidente della Camera che da tempo guardano ai new tories come modello da importare anche al prezzo di lacerazioni e strappi. Ne sa qualcosa il viceministro Adolfo Urso: «Con la Fondazione Farefuturo già due anni fa invitammo esponenti di quella nuova destra di Cameron che è riuscita a declinare temi che erano fuori dai loro confini: solidarietà, ambiente, diritti civili. E soprattutto ci convince un modello economico che non interpreta il benessere solo in termini di Pil ma anche di solidarietà». Insomma, l'esercizio inglese che con i laburisti attinse dai tories e che ora dai tories va verso la "terza via" piace e non confonde. Perfino il presidente dei deputati Pdl, Fabrizio Cicchitto, di certo non finiano, lo dice: «Anni fa avrei votato Blair, oggi voterei Cameron». Una conversione verso Farefuturo? «Ma no, lasciamo stare questi giochetti».
Certo, Cameron trascina il centro-destra italiano che però trascura un dettaglio che non si può trascurare: l'anti-europeismo. «È l'unico tema su cui prendiamo le distanze. Ma lì si sconta la specificità inglese», a parlare è Benedetto Della Vedova, anche lui finiano, con una tradizione radicale e liberista che però approva lo strappo di Cameron sulle tesi thatcheriane. La lady di ferro negò la soggettività sociale con la celebre frase there is no such thing as society e invece oggi Cameron parla di big society evocando un solidarismo kennediano. «Ma - ribatte Della Vedova - trovo interessante che lui opponga la big society versus il big state. Mi ricorda la parte migliore del ciellismo italiano: ossia quel principio di sussidiarietà verso la società per garantire una migliore coesione ed efficienza». Comunione e liberazione accostate a Cameron, anche questo è uno spunto. Unico dissidente a destra è il ministro Renato Brunetta che se fosse inglese voterebbe Clegg. «Conosco Nick, abbiamo lavorato insieme a Bruxelles. È l'unico che ha un respiro europeo mentre Cameron rappresenta una destra piatta e isolazionista».
Su Gordon Brown si compatta il Pd e in primis il suo segretario, Pierluigi Bersani. Eppure le debolezze del primo ministro uscente sono quelle che rimproverano al suo partito: il respiro corto, le facce stanche, l'assenza di parole nuove come furono quelle di Blair. «Al di là di tutte le chiacchiere sulla leadership, è stato lui - dice Bersani - che ha tenuto la barra meglio degli altri in questo periodo di crisi economica. Ha più struttura e spesso l'esperienza è ciò che serve nei momenti di emergenza come quella che viviamo».
Dai sondaggi non sembra, però, che gli inglesi siano attratti dalla tesi bersaniana e che preferiscano l'azzardo del cambiamento. Si vedrà.
Ma nel Pd c'è pure la suggestione per una coalizione tra Labour e LibDem. Dario Franceschini, per esempio, nonostante le sue convinzioni bipolari, spiega perché gradirebbe la novità estrema della fine del bipartitismo. «Voterei Brown ma con una forte tentazione per Clegg. Credo serva una ristrutturazione della sinistra che prenda linfa dai liberali e arrivi a una formula nuova come fu l'Ulivo in Italia». Con lui anche Pierluigi Castagnetti. Dunque, Clegg non ha supporter solo tra i terzisti – che sognano un Fini-Casini-Rutelli – ma pure nel Pd in cerca di un abito nuovo per sé. In particolare, sono i riformisti come Nicola Rossi a guardare con interesse la novità liberale. «Dopo la sbornia statale, al Labour serve molto pensiero liberale. Il peso dello Stato è diventato eccessivo e una affermazione di Clegg porterebbe una riflessione su questo punto. Inoltre Clegg è l'unico europeista e abbiamo bisogno di più Europa, come dimostra il caso Grecia».
  CONTINUA ...»

Giovedí 06 Maggio 2010
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