Mario Platero
NEW YORK. Dal nostro corrispondente
Un errore? È stata la prima risposta impulsiva quando ieri pomeriggio, nel giro di pochi minuti l'indice Dow Jones ha perso per poi recuperare quasi 700 punti scatenando sui mercati un'ondata di panico d'altri tempi: le perdite hanno toccato prima mille punti, crollo al di sotto di quota 10.000, l'apparizione del temutissimo 9 davanti all'indice Dow Jones. Si è subito parlato di "contagio greco" all'America, di correzione, si è attribuito al panico il fatto che l'oro e i tassi d'interesse fossero schizzati al rialzo. Poi con altrettante rapidità la ripresa, un recupero di quasi 700 punti. Alla fine il Dow Jones ha chiuso a quota 10.520,32, una caduta del 3,20% sulla giornata di ieri, 347 punti, in linea con la giornata e con gli andamenti in Europa. Flessione analoga per l'S&P500 (-3,24%).
Per questo subito si è parlato di errore. Prima le smentite, indignate del New York Stock Exchange. Poi la conferma: è stato davvero un errore nella computazione di un ordine che riguardava un complicato contratto future (un prodotto chiamato "e-mini", trattato al Chiocago Board of Trade). L'ordine di vendita riguardava un pacchetto di azioni che includeva Procter and Gamble, uno dei colossi del grande consumo. Ma invece che per 16 milioni di dollari l'ordine è stato iscritto per 16 miliardi: al poso di inserire «m» per million (milioni), un trader ha scritto «b» per billion (miliardi). Il responsabile? Una grande istituzione finanziaria. Poi il nome: l'errore è stato di Citi. La banca ha diramato una debole smentita, ma le indiscrezioni tornavano insistenti a perseguitare l'istituto, banca commerciale per tradizione, aggressivo intermediario per vocazione recente, vicina al fallimento nei momenti più bui della crisi. Ieri, suo malgrado, Citi è diventata anche il simbolo del perché la Volcker rule, che vuole separare le attività di banca d'affari da quelle di banca commerciale che tutela i depositi, dovrà essere approvata in Senato.
Ma la giornata elettrica si concentrava su una sola domanda: come è stato possibile che un titolo stabile per definizione come Procter and Gamble abbia perso quasi il 40% in pochi minuti? Un mistero. Intanto in serata la Sec ha indetto una conference call per verificare potenziali errori di trading anche su altri titoli. Procter and Gamble è quasi una utility, grazie alla certa regolarità con cui gli americani, anche in tempo di crisi continuano ad acquistare detersivi, dentifrici e fiocchi d'avena. E cosa ti combina il tranquillo Procter and Gamble? Crolla appunto senza spiegazioni del 37%. E visto che il titolo fa parte dell'indice Dow Jones, la reazione è stata immediata, prima sulla correzione dell'indice, su cui la perdita di P&G ha impattato per 170 punti. Poi l'ondata di panico cumulativa: con quelle perdite sono scattati gli ordini di vendita elettronici. Sappiamo quanto sia bravo il mercato a cercare spiegazioni anche quando non ci sono: manipolazioni segrete, un danno mortale in uno dei prodotti, una perdita finanziaria, si diceva di tutto.
E così l'indice Dow Jones, senza una spiegazione plausibile è precipitato in caduta libera, quasi 1.000 punti, quasi il 10% in meno di due minuti. Trasmissioni televisive interrotte. Dirette dalla borsa. Cronisti urlanti. E dal parterre del New York Stock Exchange abbiamo visto i volti terrei dei trader. Questo sviluppo drammatico, inatteso e davvero spaventoso sullo sfondo delle incertezze radicate nella psiche di chi ha vissuto la caduta del 2007/2009, è capitato nel mezzo di una giornata relativamente tranquilla: attorno alle 3 del pomeriggio, quando sembrava che ci si dovesse avviare stancamente verso una chiusura in perdita di circa il 2%, del tutto fisiologica visto quello che era successo e continuava a succedere in Europa. Poi il caos. A parte Procter and Gamble che perdeva il 37%, il titolo di Apple Computer registrava una caduta da 240 a 200 dollari, lo stesso per il settore finanziario. Correzione in corso? Segreti sulle finanze internazionali che circolavano fra i soliti bene informati? Panico da crisi di liquidità? Rimbalzo dei tassi di interesse. In pochi minuti si è riuscito ad ascoltare tutto. Eppure nulla era cambiato. La crisi greca era conosciuta nel minimo dettaglio con tutte le sue ramificazioni in primis per la Spagna e per le sue banche. Tutto noto: anche i dati economici. In mattinata un dato sulla produttività molto noioso, un aumento modesto nel primo trimestre, più delle stime, ma minore rispetto ai mesi precedenti. Le richieste iniziali di sussidi di disoccupazione calavano per la terza settimana consecutiva, ma meno delle previsioni degli analisti. Numeri sull'occupazione che segnalavano comunque un trend positivo, in attesa di ulteriori buone notizie in arrivo oggi con il dato sull'occupazione di aprile (secondo le stime, saranno creati 180.000 posti, con un tasso di disoccupazione che dovrebbe restare fermo al 9,7%). Alla fine, nel disperato tentativo di darsi una spiegazione per questo crollo e recupero improvviso ci si aggrappava a un aumento inatteso dei tassi di interesse a breve: il libor a tre mesi era salito da un rendimento dello 0,37% a un rendimento dello 0,42%: «è la stretta» invocava un commentatore. Arriva «l'exit strategy», la vera nemesi per il mercato.
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