Roberto Capezzuoli
Sui mercati delle materie prime la sessione di ieri ha replicato il copione del giorno precedente, pur senza la stessa frenesia. I motivi di fondo erano i medesimi: il progressivo abbandono di settori che nei mesi scorsi si erano surriscaldati e l'approdo verso l'oro, ritenuto più sicuro delle valute, dei titoli di stato e degli indici azionari.
«L'oro prospera sulla paura e sull'incertezza – commenta Adrian Ash, analista di BullionVault – e la corsa verso il metallo dimostra semplicemente che gli investitori hanno improvvisamente e drasticamente ridotto gli interventi su altri assets». La minor propensione al rischio è stata innescata dalla crisi nell'Eurozona, ma trova validi motivi nel mercato reale, dove qualche perplessità riguarda anche la domanda cinese, il vero motore delle commodities nell'ultimo triennio.
Continua quindi il buon momento degli Exchange Traded Fund auriferi, gli strumenti che replicano il prezzo del metallo e che hanno ormai accantonato quantità record: l'Spdr Gold Trust, il più noto di questi, giovedì sera aveva ammassato 1.185,787 tonnellate, 70 più di quelle registrate meno di due mesi prima. Sono titoli che comportano un extracosto per l'accantonamento del metallo, ma sono avvantaggiati dal fatto che possono essere facilmente scambiati nelle borse, come un'azione qualunque.
Le quotazioni dell'oro per ora confortano chi si è affidato al più vecchio dei beni rifugio: ieri l'oncia ha registrato un record assoluto in sterline (oltre 828 GbP/oz) ed è rimasta vicino al primato assoluto anche in euro (954,299 €, poco meno della punta di 960 €/oz toccata nella tarda serata di giovedì).
Il modesto indebolimento accusato ieri dal biglietto verde ha favorito il ritorno sopra la soglia dei 1.200 dollari: durante la sessione a Londra si è vista una punta di 1.213,35 $/oz, il massimo dai primi giorni di dicembre.
Il petrolio invece ha chiuso una settimana da dimenticare, almeno per chi confidava nei rincari. Né il dollaro che ha interrotto il recupero, né i nuovi posti di lavoro negli Usa hanno potuto frenare una discesa di dimensioni inattese. A Londra il Brent per consegna in giugno valeva lunedì 88,94 $/bbl, il massimo dall'ottobre del 2008, mentre ieri ha toccato livelli minimi inferiori a 78 dollari, perdendo quasi il 12% in 4 giorni. Invece il Wti a New York ha rotto il supporto creato dalla media mobile degli ultimi 200 giorni di mercato, chiudendo a 75,11 $ con le charts che ora puntano sotto quota 70 dollari.
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