Altro che operazione a vantaggio della "Real Casa"; piuttosto l'operazione di equity swap Ifil-Exor condotta tra la primavera e l'estate del 2005, e finita sotto la lente della magistratura, è stata una raffinata azione per contrastare un golpe ordito dalla banca d'affari americana Lehman Brothers e permettere agli Agnelli di mantenere il controllo sul 30% di Fiat anche dopo la conversione in azioni del prestito delle banche.
Parola di Gianlugi Gabetti, presidente di Ifil, la finanziaria a valle della accomandita Giovanni Agnelli & C., e dell'Ifi, che controllano il Lingotto e, fonte di non poca sofferenza in questi giorni di rivelazioni scandalose, anche la Juventus. «È vero - ha spiegato Gabetti dopo l'assemblea dei soci di Ifil, mercoledì pomeriggo - che forse Lehman Brothers non voleva scalare la Fiat, ma puntava a rilevare le azioni delle banche. L'operazione avrebbe provocato la destabilizzazione del management che in casi analoghi si è tradotta in uno spezzatino. L'Ifil l'ha salvata». Una tesi che attende riscontri anche in sede di indagini: Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens (consigliere Ifil) e Virgilio Marrone (direttore generale dell'Ifi) sono sul registro degli indagati a Milano e Torino.
La vicenda è tornata sotto i riflettori dopo la consegna alla Procura di Milano di un documento da parte dell'ex finanziere Sergio Cusani (uno dei pochi a sperimentare la condanna e il carcere durante il terremoto di Mani Pulite) e di associazioni dei consumatori a nome della Banca della solidarietà. Un dossier in cui si vuole dimostrare che non c'è mai stato pericolo di
takeover (l'ipotesi che qualcuno si muovesse per un'offerta pubblica d'acquisto, un'Opa) su Fiat, lasciando intendere che il ribasso del titolo del Lingotto ai minimi di Borsa, fino a quasi 4,50 euro nell'aprile 2005, sia stato indotto da mani amiche in vista dell'operazione finanziaria con un'altra controllata Ifil, la Exor. A sostegno di questa tesi si ricorda anche il rinvio dell'assemblea di bilancio della Fiat, dall' 11 maggio a fine giugno, con motivazioni di corporate governance chiarite solo al terzo comunicato emesso dal Lingotto. Il tutto avrebbe concorso a creare un clima negativo sul gruppo del Lingotto, deprimendo il valore delle azioni per rendere altamente vantaggiosa la scadenza swap di metà settembre, con il titolo ormai a 7 euro.
Gabetti, rispondendo su questo preciso tema, ripete quanto già detto nel quadro delle indagini: «Ifil non ha mai venduto negli anni 2004 e 2005 fino alla data odierna neppure un'azione di Fiat. Né tantomeno ha effettuato operazioni allo scoperto né ha fatto ricorso a derivati o si è mai rivolta a intermediari per deprimere il corso dell'azione». E il pericolo di Opa paventato? «Lehman - questa la icostruzione di Gabetti - aveva presentato un'offerta alla banche alle quali proponeva di rilevare la loro quota pagando un premio rispetto alla quotazione di allora. Il 28% detenuto complessivamente dalle banche, secondo il progetto di Lehman, sarebbe stato conferito a una Newco che si sarebbe proposta come partner dell'Ifil nei confronti della Fiat, per controllare insieme il 50% del capitale, senza dar luogo ad un'Opa obbligatoria. Il titolo era misteriosamente sceso in quei giorni a 4,5 euro».
«A noi - ha proseguito il presidente dell'Ifil - quella proposta non arrivò, ma sapemmo che esisteva e capimmo i rischi che potevano minacciarci perchè nel testo della lettera si diceva espressamente che i nuovi investitori esprimevano un forte interesse nella gestione di Fiat. Quello che si profilava era un pericolo per il nostro investimento, per la stabilità del management, per Torino e per l'economia piemontese. Il timore di un'aggressione esterna si era accentuato nel luglio del 2005 quando Marchionne aveva dichiarato,in una riunione presso Mediobanca con gli analisti, che il processo di risanamento dell'Auto procedeva speditamente». A questo punto bisognerebbe sapere chi muoveva i fili di Lehman. «Non avevano certamente interessi industriali - ha chiarito Franzo Grande Stevens, presidente dimissionario della Juventus e consigliere dell'Ifil - altrimenti si sarebbero rivolti a noi. Noi abbiamo ritenuto un atto di moralità intervenire a difesa dell'azienda, dell'occupazione e di Torino».
Gabetti ha escluso con decisione che il gruppo abbia condiviso una iniziativa volta a deprimere il corso del titolo Fiat. «Non abbiamo mai venduto, negli anni 2004-2005 e fino ad oggi - ha rimarcato - neppure una azione Fiat poiché era suo preciso interesse quello di conservare una partecipazione superiore al 30 per cento. Ho già espresso questa assicurazione nel quadro delle indagini in corso. Aggiungo che non abbiamo mai effettuato vendite allo scoperto di azioni Fiat, ne abbiamo fatto ricorso a derivati, ne ci siamo mai rivolti a intermediari per deprimere il corso del titolo Fiat».