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13 dicembre 2006 |
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Petrolio, basta dollaro. L'Iran vorrebbe essere pagato in eurodi Vittorio Da Rold |
C’è una voglia crescente di euro in alcuni settori dell'economia globale. Una tendenza che si agita da tempo ma che ultimamente ha assunto nuovo vigore. Ha cominciato alla chetichella il ministro delle Finanze iraniano Davoud Danesh-Jafari, secondo Paese produttore Opec, ad annunciare nei giorni scorsi che Teheran potrebbe iniziare a vendere il proprio petrolio anche in euro, cioè "Oil for euro". «Stiamo programmando di condurre le nostre transazioni finanziarie in moneta unica anziché in dollari», ha detto Davoud Danesh-Jafari. Inoltre stiamo spostando parte delle riserve in euro. Naturalmente c’è un bel po’ di propaganda nell’annuncio e più di un motivo politico di opposizione a Washington nella presa di posizione iraniana che dal 1979 ha rotto i rapporti diplomatici con gli Usa ma non bisogna dimenticare anche l’elemento strettamente economico.
«L’Iran - dice Antonio Cesarano capo economista di MPS Finance - probabilmente sta fiutando il fatto che nel caso di forte rallentamento del ciclo americano, gli stessi Usa potrebbero avvalersi della consueta politica di svalutazione del dollaro per supportare l’economia».
Che i Paesi produttori di petrolio abbiano ridotto la loro esposizione verso il dollaro americano ai minimi degli ultimi due anni, reindirizzando parte degli introiti ottenuti dalla vendita di greggio su euro, yen e sterlina britannica, è un fatto appurato. Lo riportano le ultime statistiche della Banca dei regolamenti internazionali di Basilea che confermano le voci di mercato di un’uscita dal dollaro, che potrebbe incrementare la pressione sul biglietto verde, già in declino (per ora sul mercato il cambio euro/dollaro si attesta a 1,3200) a causa del deficit commerciale soprattutto con la Cina e al galoppante disvanzo pubblico, spinto anche dalle crescenti spese di guerra in Iraq.
Certamente siano di fronte ancora a timidi segnali, non a un capovolgimento di strategia complessiva, e non potrebbe essere diversamente. I movimenti effettuati dai paesi produttori di greggio sono stati minimi: Russia e Opec hanno diminuito gli asset denominati in dollari dal 67% del totale del primo trimestre al 65% nel secondo, aumentando dal 20 al 22% quelli in euro e yen. Ma l’ultima volta che hanno operato una mossa simile, a fine 2003 l’euro è stato spinto ai massimi storici sul dollaro. È vera svolta? Un po’ di cautela è d’obbligo; per ora limitiamoci a dire che per chi riceve pagamenti in dollari c’è sempre più voglia di smarcarsi dal biglietto verde per non dover pagare il conto della svalutazione strisciante.
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