Lapsus premonitore, quello di Tommaso Padoa Schioppa alla Camera, il 17 maggio.«Nella seconda fase della procedura a Tpg si è unita M&C», ha detto il ministro dell'Economia, sorprendendo chi lo ascoltava.
Adesso è vero: Tpg si è «unita »a M&C,ma chiamandosi fuori dalla corsa ad Alitalia. Come lo aveva fatto, il 30 marzo, il fondo "salvaimprese" di Carlo De Benedetti. Per settimane Management & Capitali ha continuato a studiare le possibilità di rientrare in gara, ha chiesto una modifica delle regole, ha flirtato con Tpg, il pretendente con la "cultura" degli affari più vicina all'Ingegnere.
Lunedì sera Tpg e Mediobanca avevano inviato al ministero dell'Economia la lista dei loro uomini che avrebbero dovuto presentarsi l'indomani alla data room, presso lo studio legale Grimaldi. Nessuno ieri si è presentato e il texano David Bonderman ha ordinato la ritirata.
Le motivazioni del ritiro, pur scremate da considerazioni tattiche, mettono in evidenza il grande difetto di questa privatizzazione. Che non risiede tanto nella procedura, soggetta a vincoli con qualche rigidità di troppo, ma trasparenti fin dall'inizio, quanto piuttosto nella disastrata situazione economica, finanziaria, industriale, dell'aviolinea statale. Il vero difetto non è la procedura, è l'Alitalia.
Come pensare che un pretendente sano di mente sia disposto a immettere ingenti capitali propri in un'azienda che da 15 anni chiude regolarmente il bilancio di gestione in passivo (tranne nel 1998), ha una flotta modesta (su 186 aerei, solo 30 di lungo raggio) e non più giovane,12 anni l'età media? E poi,quei 19mila dipendenti — non va dimenticata Az Servizi —organizzati in dieci sigle sindacali dalla tendenza anarcoide...
Se questa è l'Alitalia,è evidente allora che un compratore può essere interessato solo alla sua quota su un mercato ricco (il 47% dei voli nazionali, il 6% in Europa),al presidio degli slot aeroportuali, eredità del monopolio, al discreto impatto del marchio, nonostante tutti i disservizi. L'Alitalia piace a molti,ma costa troppo.
Con Tpg, se ne va il pretendente che pagava meno di tutti le azioni(zero o quasi)e non voleva fare l'Opa, ma prometteva, almeno sulla carta, gli investimenti più alti (5,5 miliardi in cinque anni, compreso il prezzo di acquisto). Al Tesoro restano due offerte: Carlo Toto di Air One, che non mette soldi propri ma, aiutato da ardite manovre contabili (a fine anno ha rivalutato la compagnia da 55 a 870 milioni di euro), li chiede alle banche (Intesa) e ha l'appoggio dei Ds, oppure la russa Aeroflot che, attraverso i vasi comunicanti del Cremlino, può accedere alle sterminate ricchezze del gas russo. Air France e Lufthansa restano alla finestra. Non è una prospettiva rassicurante per un vero rilancio della compagnia.Intanto,le condizioni di Alitalia sono peggiorate. Se fallisse la privatizzazione,l'aviolinea avrebbe scarse possibilità di valicare il prossimo inverno.