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Arpe: un'acquisizione che funziona

di Monica D'Ascenzo

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19 maggio 2007


L'umore non è dei migliori. Lasciarsi alle spalle cinque anni di lavoro in Capitalia non è cosa da poco. Ma gli eventi degli ultimi giorni impongono una scelta. Arriva così l'addio di Matteo Arpe alla guida del gruppo bancario, dove era entrato nell'ottobre del 2001 con la carica di amministratore delegato del Mediocredito Centrale e come direttore generale designato della holding. Si tratta dell'epilogo del lungo rapporto altalenante con il presidente, Cesare Geronzi, che era andato degenerando nel corso dell'ultimo anno. Fino al 22 febbraio scorso con la richiesta di revoca delle deleghe ad Arpe poi ritirata.

Una frattura che si era momentaneamente ricomposta. Ma la proposta del presidente di Capitalia al cda della nomina di Claudio Costamagna come consulente della banca per le alleanze strategiche era stato un segnale della chiusura della partita a favore di Geronzi. «La questione delle mie dimissioni è un dettaglio, è assolutamente evidente che per me si conclude un progetto i cui risultati sono alla base di uno nuovo, ben più rilevante, che si sta aprendo per la banca » ha commentato Arpe, interpellato all'uscita dall'istituto ieri in serata. E il progetto si è concluso con il risanamento dell'istituto e il titolo passato da 1,5 euro di inizio luglio 2003 ai 7,97 euro della chiusura di ieri con un progresso di oltre il 400 per cento. «È stato un lavoro collettivo. Non sarebbe stato possibile raggiungere certi risultati se non con gli sforzi di tutti » confida in privato Arpe, che quando dice tutti si riferisce non solo alla squadra di manager che ha lavorato al suo fianco ma a tutti i 28.291 dipendenti del gruppo.

Della fusione ha un giudizio positivo, pur ritenendola di fatto un'acquisizione di Capitalia da parte del gruppo Unicredit. E sull'operazione esprime preoccupazione soprattutto in relazione agli esuberi, alla 'tenuta' della squadra e all'impatto che l'integrazione delle due realtà potrà avere sui ruoli e sulle motivazioni dei dipendenti. Quegli stessi dipendenti che in febbraio in occasione dello scontro ai vertici dell'istituto si erano mobilitati fino ad organizzare una manifestazione sotto la sede della banca mentre i manager avevano scritto una lettera al presidente. E proprio queste preoccupazioni potrebbero trovar posto nella lunga lettera che Arpe consegnerà domenica al cda di Capitalia.

«In cinque anni mi sono dedicato interamente al risanamento del gruppo»continua Arpe,che riconosce le crescenti difficoltà dell'ultimo anno sia a livello personale sia per il ruolo ricoperto nell'istituto. E se gli scontri con il presidente sono stati causati da differenze«generazionali e culturali »,è pur vero che entrambi hanno sempre avuto come fine l'interesse della banca. Alla fine però il "padre storico" di Capitalia, alla guida del gruppo dagli inizi degli anni '90,ha ribadito la propria forza portando avanti l'operazione con Unicredit e di fatto "licenziando" il golden boy cresciuto alla corte di Enrico Cuccia. Ma l'addio sarà reso meno amaro dai cinque anni di stipendio che gli spettano come buonuscita da contratto. Un compenso che nel 2006 superava i 6 milioni.

Arpe se ha rimpianti non lo dice. Resta la forza dell'orgoglio e la voglia di guardare avanti. Classe 1964, laurea all'Università Bocconi, dodici anni a Via Filodrammatici (oggi Piazzetta Cuccia) fino alla nomina nel 1997 a direttore generale, un breve passaggio al gruppo Lehman Brothers e nell'ottobre 2001 l'ingresso nel gruppo Banca di Roma. A 43 anni, il prossimo novembre, il manager ritiene di avere ancora molto da dire e da fare. Che sia una banca d'affari o un grande fondo di private equity per ora poco importa. «Adesso intendo dedicarmi alla famiglia, poi deciderò »dice cercando di recuperare serenità, ma c'è da scommettere che difficilmente si tratterà di una lunga pausa.

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