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La diaspora dell'area euro

di Orazio Carabini

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23 giugno 2007

Si erano mossi gli italiani, con il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa, i francesi e i tedeschi. L'obiettivo era di creare un'unica società mercato dell'area euro, mettendo insieme Deutsche Borse, Euronext e Borsa italiana. Più che un'interferenza della politica nella vita di imprese private e quotate era un auspicio. Che non si è trasformato in realtà. Anzi: le società mercato sono andate ciascuna per conto suo. A cominciare da Euronext (Francia, Olanda, Belgio, Portogallo) che si è alleata con gli americani del Nyse (New York Stock Exchange) mandando subito all'aria i piani dei volonterosi ministri europeisti. Uno sconsolato Padoa-Schioppa aveva commentato così, nel dicembre scorso, la vicenda delle Borse europee: «La realtà è che siamo in un mercato unico che è rimasto a metà e non riesce a completare il passaggio. In queste condizioni è difficile fare una politica economica e ancor più fare una politica economica "di mercato unico". Lo vediamo con le Borse che sono diventate private e che si fanno concorrenza. Nell'area della moneta unica manca il soggetto che ha fatto da motore negli anni 80 e 90, non c'è un soggetto nazionale o europeo che riesca a operare come portatore dell'interesse pubblico. E le Borse non diventano un unico operatore nè con la concorrenza (fusioni-acquisizioni) nè per effetto della spinta del soggetto coordinatore».
Borsa italiana sembrava la candidata più forte a restare zitella dopo aver detto no a Deutsche Borse e a Euronext. E invece il prestigioso London Stock Exchange è venuto in soccorso del non brutto ma presuntuoso anatroccolo milanese. Il bello è che lo ha fatto con una mossa "difensiva" nel senso che Londra aveva bisogno di aumentare le proprie dimensioni per frenare le ambizioni del Nasdaq, la società-mercato statunitense che con il 30% delle azioni non riesce a comandare nel Lse. Adesso gli americani si diluiranno scendendo al 22% e le banche italiane (UniCredit, Intesa SanPaolo e Mps soprattutto), dopo la fusione, con il loro 27% saranno, tutte insieme, il maggior azionista del Lse. Un colpaccio, purché sappiano stare "educatamente" in una public company e e non comincino a litigare tra di loro (ci sono UniCredit e Intesa SanPaolo...).
Massimo Capuano, che ha rischiato il posto di amministratore delegato dopo la pubblica reprimenda del governatore della banca d'Italia il 31 maggio, porta a casa un risultato positivo che apre sviluppi interessanti: Mts può crescere perché Lse non ha un suo mercato delle obbligazioni e il sistema di post-trading di Borsa italiana, che è il più efficiente in Europa, potrebbe interessare Londra che non ne ha uno suo. Nella governance fa tombola con 5 posti su 12 nel Cda (i francesi ne avevano offerto uno su 22). Certo, non sarà facile far dialogare le autorità di vigilanza (la Fsa inglese e la Consob) e bisognerà conciliare due sistemi concepiti in modo diverso (quello inglese per gli intermediari, quello italiano per gli investitori individuali). Ma sono problemi che si superano. «E poi — assicurano fonti autorevoli — l'integrazione del mercato europeo non passa per l'unificazione delle società mercato».

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