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La pmi Atlante: «Vittime dei derivati e dei tassi da usura»

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18 luglio 2007

Allarme derivati. Leggi gli articoli del Sole-24 ORE

Una pmi bresciana costretta a rivedere piani di sviluppo, a licenziare e a chiudere una sede in provincia di Reggio Calabria per colpa dei derivati. Il gruppo Atlante, che sviluppa tecnologie per il recupero dei rifiuti, a fronte di 8 milioni di euro di capitale sociale si ritrova sulle spalle 2 milioni di debiti maturati dopo avere smesso di pagare per interessi ritenuti esorbitanti su contratti di interest rate swap. La società, guidata dall'amministratore delegato Giovanni Codenotti, ha presentato meno di un mese fa un esposto alla magistratura dopo avere ricevuto lettere delle banche creditrici in cui si chiedevano cifre sproporzionate per i costi delle operazioni di swap. E in una lettera circostanziata al Sole24Ore.com racconta per filo e per segno i termini di una vicenda dai risvolti perlomeno inquitetanti.

Gentile Redazione,
In relazione all'articolo "Strumenti capestro per piccole imprese ed enti locali" pubblicato sul Sole 24 Ore del 15 luglio, desideriamo raccontarvi la nostra triste esperienza, al fine di testimoniare che ormai sia in uso un mal costume nelle Imprese di credito.

La nostra società, parte di un Gruppo che opera nel Bresciano, ha subìto quel che si potrebbe, carte alla mano, definire un vero e proprio raggiro da parte dalle imprese di credito. Il Credito Italiano, ora Unicredit, aveva persuaso la nostra Società a sottoscrivere una polizza assicurativa che a fronte di un premio effettivamente versato, avrebbe garantito un tasso non superiore al 6%. In realtà, contrariamente a quanto prospettato ed assicurato dai funzionari della Banca, detta polizza avrebbe unicamente garantito prodotti derivati, per i quali, comunque, l'azienda ha sopportato costi oggettivi. E proprio attraverso la collocazione di prodotti derivati Unicredit riusciva all'inizio del presente millennio ad ottenere ottimi bilanci.

Analizzando gli addebiti e gli accrediti relativi ai prodotti derivati su conto corrente, si giunge all'incredibile risultato che la nostra Società dal 2001 al 2005 ha corrisposto all'Istituto di credito la somma di 103.404,38 euro di sbilancio negativo, cui è da aggiungersi un'ulteriore perdita di 13.536,23 euro verificatasi nel giugno 2005. Il tutto da aggiungersi al computo degli interessi pari al 20% trimestrale. Ciò avrebbe messo in ginocchio la più florida delle aziende.

Ora sulla condotta della Banca, alla vigilia della forte espansione del Gruppo, leader nelle tecnologie per il recupero dei rifiuti, dovrà indagare comunque la Magistratura, che dovrà valutare quali e quanti illeciti siano stati perpetrati, come da esposto presentato dai nostri legali su nostro mandato. Occorre altresì evidenziare, per completezza espositiva, che la società è stata fatto oggetto di iniziative giudiziare da parte della Banca al fine di richiedere il pagamento degli esorbitanti interessi pretesi.
Così la nostra Società ha subito un'azione monitoria da parte dell'allora Credito Italiano (ora Unicredit Banca di Impresa S.p.A.) per ottenere il pagamento di pretesi scoperti, applicando il tasso di interessi contrattualmente imposto. Attraverso un utilizzo specifico della voce contabile della commissione di massimo scoperto nelle operazioni di apertura di credito in conto corrente, è stato ampiamente superato il tasso soglia (ovvero il tasso di usura) in tre trimestri su cinque del biennio 2004-2005.

Ad esempio, nel quarto trimestre 2004, rispetto ad un tasso soglia del 15,26%, l'Istituto di credito ha computato interessi per una percentuale pari al 20,388%! Ciò è stato accertato, grazie alla causa promossa dai nostri legali, dal consulente d'ufficio nominato dal Giudice del Tribunale di Brescia. Lo stesso consulente nominato dall'istituto di credito non ha potuto che confermare la circostanza, ciò il superamento del tasso soglia.

Ma questo non è tutto. L'assurdo si è raggiunto con un altro istituto di credito e precisamente con la Cassa di risparmio di Parma e Piacenza. Infatti una società del gruppo, la Alex Immobiliare aveva in data 8 aprile 2002 aperto un conto corrente presso l'istituto con uno scoperto di cassa pari a 15 mila euro. Contestualmente la Banca faceva sottoscrivere un contratto quadro e di interessi swap garantendo che detto contratto avrebbe assicurato la stabilità dei tassi e che era privo di qualsiasi rischio. Incredibilmente ed inaspettatamente la malcapitata azienda si vedeva richiedere nei primi mesi del 2005 l'esorbitante cifra di 168.419,38 euro.

In buona sostanza in circa tre anni a fronte di un fido di 15 mila euro l'azienda ha visto aumentare il costo di oltre 11 volte. Alla richiesta di spiegazione la Banca in data 28 febbraio 2005 candidamente rispondeva affermando che il passivo era da addebitare alle operazioni di interest rate swap. Ed addirittura addebitava all'azienda la cifra di ben 87.857 euro quale costo, non si sa bene a quale titolo, per estinzione operazioni interest rate swap. Ogni commento è superfluo ed attendiamo fiduciosi l'opera della Magistratura.

L'istituto di credito ha adottato lo stesso modus operandi anche con le altre società del gruppo e cioè C.A.M. e soprattutto la capogruppo Atlante. Anche per queste società alla richiesta di spiegazioni circa l'inusuale espansione del debito la banca candidamente rispondeva con raccomandata: trattasi di costi per l'operazione swap. Anche in questo caso veniva addebitata la cifra di 87.857 euro quale costo per estinzione operazioni interest rate swap. Come si vede, la banca impone a tutte le aziende una gabella non si sa bene a quale titolo che ha quale unico effetto quello di aumentare il costo del denaro ed ovviamente l'utile delle banche.

Si comprendono ora si motivi per i quale le banche come riportato dallo stesso Sole 24 Ore abbiano fatto utili elevatissimi con i così detti prodotti derivati, in realtà vere e proprie gabelle. Ed evidentemente dovrà essere la magistratura ad accertare se vi sia stato in effetti un disegno criminosa messo in atto dalle banche nei confronti dei Clienti per ottenere un indebito arricchimento.

Questa esperienza dimostra tra l'altro che quanto accaduto ad altre aziende italiane non rappresenta un caso isolato, ma una condotta perpetrata da varie Banche che, seguendo una strategia sorprendentemente comune, impongono alle società italiane che intendono lavorare in questo Paese clausole capestro, lucrando ingiustificatamente attraverso interessi e tassi di dubbia legalità.

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