Al principio fu la bancarotta della banca d'affari britannica Barings a scatenare un'ondata di critiche contro il mercato dei derivati. Era l'inizio del 1995, ma ai banchieri centrali internazionali non sembrò il caso di intervenire. Tanto che in occasione di un convegno a Barcellona ribadirono la volontà comune di non imporre restrizioni ai mercati e di sviluppare invece un'autoregolamentazione, basata su una maggiore informazione e quindi più trasparenza. Alan Greenspan, allora presidente della Federal Reserve, in testa.
Dieci anni dopo, però, lo stesso Greenspan dovette ricredersi. Pur ammettendo che il mercato dei derivati rappresentava un importante motore di crescita per l'economia, il presidente della Fed iniziò a sottolineare come la continua immissione sul mercato di sempre nuovi strumenti finanziari rendesse necessaria una maggiore disciplina nella gestione del rischio. Ma nonostante il pericolo per il sistema finanziario, Greenspan ha sempre continuato a sostenere che non fosse compito delle istituzione porre dei freni, ma che le banche stesse dovessero trovare il modo di autoregolamentersi. Tanto che nel 1998 fu proprio il presidente della Fed a contrastare il tentativo della Commodities Future Exchange Commission di assoggettare il mercato over the counter dei derivati finanziari alle regole in vigore per i futures sulle commodities.
Nel frattempo l'avvicendamento alla guida della Fed ha portato alla presidenza Ben Bernanke, ma la politica della banca centrale americana non è affatto cambiata. «Sia le banche centrali che le altre autorità di controllo dovrebbero resistere alla tentazione di emanare regole ad hoc per ogni tipo di strumento finanziario nuovo o istituzione» ha commentato Bernanke di fronte alle proposte di una stretta normativa nei confronti di derivati ed hedge fund. Ancora una volta quindi la risposta è: sono sufficienti le norme esistenti. La soluzione è ancora una volta l'autoregolamentazione e nella stessa direzione si sono mosse anche le indicazioni dell'Ecofin europeo nel maggio scorso. Questo nonostante solo qualche mese prima alti funzionari della Federal Reserve, della Sec (autorità di controllo dei emrcati americani) e della Fsa (autorità di controllo sulla Borsa britannica) abbiano ritenuto necessario inviare una lettera aperta al Financial Times per sottolineare i rischi del mercato dei derivati. Secondo la loro tesi, infatti, la crescita esponenziale del mercato negli ultimi anni pone in serio pericolo il controllo delle singole autorità di vigilanza nazionali sul settore senza confini nazionali dei derivati.
È certo comunque che l'attenzione delle banche centrali resta alta. Nell'aprile scorso il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, sottolineò come i derivati sui crediti, in forte crescita, «stanno cambiando il sistema finanziario» e rappresentano un rischio per la stabilità dei mercati. In quell'occasione Trichet ha evidenziato come uno shock potrebbe indurre gli investitori a reagire tutti nello stesso modo, «con una pericolosa mentalità da gregge». «Situazioni di questo tipo sono fonte di preoccupazione da un punto di vista di liquidità sistemica. Attualmente - ha poi aggiunto Trichet - sui mercati finanziari il timore è che una quota importante degli operatori sia diventata eccessivamente compiacente».
Sembra comunque accantonata, almeno per ora, l'ipotesi di un'intervento delle autorità a livello internazionale per ridurre i rischi del sistema.