Qualcuno si è stupito, mercoledì scorso, quando Mario Draghi ha attirato l'attenzione della platea dell'assemblea Abi sul caso Italease. «Grazie a un'ispezione che la Banca d'Italia aveva avviato nel gennaio scorso presso una banca è emerso che la banca in questione aveva venduto a imprese-clienti complessi prodotti derivati fortemente esposti a un rialzo d'interesse», ha spiegato il Governatore della Banca d'Italia, ricordando che poi, con i tassi in risalita, i clienti che avevano acquistato questi prodotti si sono trovati di fronte a un'improvvisa crescita dell'indebitamento. «Oltre ai rischi legali e di reputazione, è cresciuta di conseguenza l'esposizione della banca al rischio di controparte». Morale: ecco come non utilizzare i prodotti derivati. Per tutti, venditori e acquirenti, la loro finalità deve essere la copertura del rischio e nient'altro. Invece «spingere i clienti ad assumere rischi finanziari anziché coprirli accresce il rischio di controparte, con possibili perdite cospicue; fa emergere rischi legali e di reputazione, che minano le prospettive di sviluppo dell'intermediario e possono giungere a metterne in discussione la stabilità». Tra i commentatori, c'è stato poi chi si è detto sorpreso che un governatore di Banca centrale richiamasse le aziende di credito a garantire sempre un rapporto consapevole e informato con le imprese che acquistano prodotti complessi. Eppure, non è certo la prima volta che Draghi affronta il tema derivati e che ne sottolinea i rischi, oltre che le opportunità: in veste di presidente del Financial stability forum, l'organismo voluto dal G7(nel quale sono rappresentati tutti i vari supervisors nazionali) per prevenire le crisi finanziarie internazionali, Draghi si è dovuto occupare a lungo di analizzare i settori più innovativi e delicati del mercato finanziario. E, tanto a livello internazionale, quanto per le vicende di casa nostra, Draghi crede fermamente nella disciplina di mercato, oltre che nella costante attenzione dei regolatori, come mezzi principali di contenimento dei rischi sistemici.
Oggi, ha ricordato nelle sue Considerazioni finali, il valore nozionale degli strumenti finanziari derivati è pari a 10 volte il Pil mondiale. Ma questo, in sé, non è un male. «Consentendo di scomporre e valutare il rischio di credito, allocandolo e disperdendolo tra una moltitudine di operatori, i derivati contribuiscono a innalzare la produttività del sistema finanziario, proprio come nuove tecnologie produttive accrescono quella dell'economia reale». Però questi prodotti vanno maneggiati con cura :«Se chi eroga il prestito ne cede in parte il rischio agli altri – scrive Draghi nelle Cf – l'incentivo a vagliare la qualità dei debitori può ridursi: ne è un segnale l'aumento delle insolvenze sul mercato dei mutui ipotecari negli Stati Uniti, dove il trasferimento del rischio è diffuso».