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I clienti aspettano un segnale dalle banche

di Marco Liera

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10 settembre 2007

Paolo Friggi, tabaccaio di Zelata (Pavia), dice di aver finto il suo sequestro perchè «la sua esistenza era tormentata da tre mutui contratti nel 2005, con un tasso variabile impazzito», come riportava «La Repubblica» di giovedì. Senza arrivare a questi casi estremi, e forse anche fantasiosi, è vero che la crescita del costo del denaro ha provocato un appesantimento delle rate dei mutui a tasso variabile, e la conseguente preoccupazione delle famiglie coinvolte (vedi sondaggio Ipr in basso). Nel 2004 un prestito a 10 anni aveva toccato un costo minimo del 3,1%, che ora è passato al 5,2 per cento. Non che ciò corrisponda a un rincaro del 67 per cento! L'incidenza dell'aumento dei tassi riguarda solo una parte della rata, la quota interessi, che per altro è decrescente a mano a mano che ci si avvicina a scadenza.
Sta di fatto che il 2004 è stato proprio l'anno in cui si è registrato il massimo storico di incidenza dell'erogazione dei mutui a tasso variabile, come si legge nel grafico a fianco: in quell'anno, quasi il 70% dei mutuatari ha preferito rischiare, probabilmente perchè allettato dai bassi tassi. Hanno fatto male? No, almeno per il momento. Perchè finanziandosi al 3,1% su durate decennali hanno fruito da subito di un consistente risparmio rispetto al 5,2% richiesto a quell'epoca a chi voleva star tranquillo con il tasso fisso. Solo oggi, a tre anni dalla stipula, il costo del mutuo a tasso variabile ha raggiunto la parità con il tasso fisso alternativo. Nel frattempo, dunque, i mutuatari hanno visto premiata la loro scommessa controllata, accumulando i risparmi di tre anni di minori costi. Il conteggio, come si legge in altro articolo, è favorevole anche per chi sottoscrisse il mutuo a tasso variabile nel 2005. E da domani?
Nulla esclude che i tassi possano continuare a salire, pur tenendo presente che il sistema della moneta unica è nato proprio con l'obiettivo di dotare gli abitanti di Eurolandia di una maggiore stabilità finanziaria, e quindi rendere assai meno probabili situazioni tipo quelle degli anni 70 e 80. Quand'anche i tassi proseguissero nella loro ascesa, tuttavia, occorrerebbe fare i conti con una quota interessi della rata che nel tempo va riducendosi. In questo modo, l'incidenza di ogni variazione dell'Euribor sarebbe via via minore a mano a mano che ci si avvicina alla scadenza del prestito.
La fuga verso la sostituzione del mutuo a tasso variabile, facilitata dalle misure contenute nel decreto Bersani, potrebbe essere dunque la reazione emotiva e scomposta a un rialzo del costo del denaro che di per sè non inficia la correttezza logica della scelta a suo tempo effettuata. Di solito, quando si prendono delle decisioni, si dovrebbero scegliere le opzioni più probabili, non quelle più improbabili. Ciò detto, il benessere non è soltanto descritto dalle variabili economiche. Esiste un benessere legato alla tranquillità di assicurarsi la costanza delle rate da pagare, e non dover pensarci più. Ci sono persone per le quali questa serenità vale molto di più che per altri. E il vero valore attribuito a questa tranquillità magari emerge proprio nel momento in cui la variabilità del tasso colpisce sfavorevolmente il mutuatario. Per queste persone la sostituzione del mutuo non non è certo un tabù; tra l'altro potrebbe essere favorita dalla felice circostanza che ora il costo del prestito a tasso fisso è di pochissimo superiore a quello del tasso variabile (5,3% contro 5,2% su durate decennali), per via della inusuale congiuntura attuale dei tassi (con l'Eurirs a 10 anni inferiore all'Euribor a 6 mesi).
Diverso è il caso delle persone che hanno concrete difficoltà a sostenere le rate di mutuo ingigantite. Qui, più che a preoccupazioni per il futuro, siamo di fronte all'oggettiva esigenza di diminuire i consumi correnti per riuscire a onorare i propri impegni. È interesse delle banche venire incontro alle esigenze di questi mutuatari, magari ri-programmando il piano di ammortamento, sì da spalmare il maggior onere su un numero più alto di rate. Gli irrigidimenti, avendo a che fare con creditori mediamente perbene, non sono la migliore soluzione. Non solo l'esecuzione immobiliare è un dramma indicibile per le famiglie che ne sono colpite, ma è pur sempre un pessimo affare per le banche che ne sono parti attive.

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