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Il dilemma della Fed

dal corrispondente Mario Platero

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22 GENNAIO 2008

Martedì Wall Street si e' svegliata di primo mattino con la prospettiva di passare una delle giornate piu' drammatiche degli ultimi 20 anni, con un future sui mercati che indicava una caduta del 5% dell'indice Dow Jones, con i mercati mondiali in caduta verticale dopo la giornata disastrosa di lunedi'; con la certezza, alla luce di recenti dati economici, che il Paese si potesse trovare gia' in recessione. E' stato in questo contesto di panico crescente fra gli operatori che la Federal Reserve, preoccupata dal rischio contagio e dal pericolo che la crisi di liquidita' si trasformasse in crisi sistemica, ha deciso ieri mattina di ridurre aggressivamente il tassi sui fondi federali, di 75 punti base, dal 4,25 al 3,50%, e di farlo al di fuori dei regolari incontri del Comitato Monetario, previsti per martedi' prossimo. Una decisione difficile e controversa, che ha suscitato soprattutto in Europa reazioni critiche, anche ai massimi livelli dell'Unione Europea: la Bce infatti e' a questo punto a sua volta sotto forti pressioni per una riduzione dei tassi, pressioni che intende resistere. E la Fed si trovera' a sua volta sotto forti pressioni per una nuova riduzione dei tassi durante l'incontro della settimana prossima.
Non c'e' dubbio che la decisione di ieri della Federal Reserve ha avuto un carattere epocale. Era la prima volta dall'ottobre del 1984 che le autorita' centrali operavano un taglio cosi' elevato dei tassi di interesse. Ed era la prima volta che si decideva un'azione monetaria al di fuori degli incontri regolari del Federal Open Market Committee dal settembre del 2001, subito dopo l'attacco all'America di Al Qaeda. Sia per la portata che per il tempismo del taglio dei tassi dunque, la Fed di Bernanke ha scritto una pagina di storia economica, una di quelle pagine che si scrivono ogni 25-30 anni. Una reazione apprezzata dai mercati, ma che ha aperto il fianco a critiche anche aggressive: non c'e' forse il rischio che la Fed abbia reagito precipitosamente? Che a questo punto si sia resa di fatto ostaggio degli umori del mercato. Che abbia deciso con un orizzonte di brevissimo termine che non risolvera' necessariamente i problemi di fondo, come ha sottolineato il commissario europeo per gli affari economici Almunia?
La manovra della Fed e' stata annunciata alle 8.23 del mattino, prima dunque dell'apertura delle contrattazioni. E, in effetti, per una buona mezz'ora, un periodo lunghissimo e difficile, in apertura delle contrattazioni il mercato non sembrava cedere alle lusinghe di Bernanke. Il Dow Jones perdeva quasi il 4%, oltre 460 punti e la credibilita' della Banca Centrale americana oltre che quella personale del suo Presidente, rischiava di essere compromessa. Poi, finalmente, si e' avuta l'attesa inversione di tendenza. Il Dow Jones ha cominciato a recuperare, le borse europee hanno riassorbito una buona parte delle perdite e in chiusura l'indice di borsa americano perdeva circa 120 punti, una perdita accettabile se si pensa da dove si era partiti e, soprattutto, quali potevano essere le conseguenze senza l'intervento della Fed.
Il pronostico e' che l'intervento cosi' deciso della Fed, accompagnato dal pacchetto di stimoli che il governo e il Congresso americano dovrebbero approvare entro la prima meta' di febbraio avranno un effetto benefico sull'economia gia' nella seconda meta' dell'anno. Altri ritengono che l'intervento di ieri sia servito a tamponare una pericolosa emorragia, ma non potra' eliminare la debolezza strutturale del mercato, ne arrestare la caduta in una difficile recessione dell'economia americana. Anzi, dicono alcuni economisti, il fatto che la Fed abbia sparato le sue cartucce proprio ora dimostra fragilita' di nervi e miopia: se ieri la credibilita' della Fed alla fine ha retto, potrebbe non essere cosi' fra due giorni o fra due settimane quando l'onda di questa crisi tornera' a riproporsi, piu' forte che mai, e a quel punto immune a ogni tentativo di nuove manovre.
Questa visione, condivisa fra molti in Europa, e' riduttiva. Ben Bernanke non ha reagito in modo scomposto ed ha ben presenti i rischi impliciti in una mancata azione da parte delle autorita' centrali. Gia' la settimana scorsa il Governatore della Fed, nel corso di una audizione alla Camera, aveva confermato che sarebbe stato pronto ad intervenire anche massicciamente e fuori dai normali appuntamenti del Federal Open Market Committee in caso di un peggioramento improvviso dei mercati o dell'economia. E dopo la giornata di lunedi' Bernanke e' stato chiamato a rispondere della sua parola. A quel punto non poteva tirarsi indietro: "La sua e' stata una reazione ragionata e responsabile, frutto di un ragionamento fatto a tavolino gia' molte settimane fa, non una reazione impulsiva dettata dalle provocazioni dei mercati" dichiara un'autorevole fonte monetaria a Washington a il Sole 24 Ore. Si aggiunga che l'attuale governatore della Fed e' uno dei maggiori esperti della depressione americana ed e' giunto a conclusioni molto chiare sulle responsabilita' delle autorita' centrali quando, all'inizio degli anni Trenta, invece di ridurre aggressivamente i tassi di interesse si preoccuparono di punire le istituzione colpevoli di eccessiva leggerezza alzando i tassi di interesse. Allora insomma, prevalse quel che si consiglia oggi in Europa: lasciate che le banche paghino le conseguenze delle loro azioni e lasciate che il mercato nel suo insieme si liberi degli eccessi accumulati in questi anni di forte liquidita'. Un consiglio che Bernanke ieri ha deciso di non ascoltare.

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