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UniCredit e quell'idea su Merrill Lynch

di Paolo Madron

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18 GENNAIO 2008

Che le giornate di Alessandro Profumo siano intense è un'ovvietà da non dire. Ma quando lo sono perché riempite da beghe e polemiche tutte italiane, la cosa fa senz'altro notizia. Se potesse, il banchiere passerebbe negli uffici UniCredit di piazza Cordusio meno tempo possibile.Il mare che preferisce, oltre a quello delle Maldive, è quello aperto dei mercati internazionali,dove a nessuno viene in mente di tirarlo per la giacchetta perché batta un colpo sulle complicate e invero noiose partite domestiche.

Purtroppo però anche chi ambisce a fare del mondo la sua scena ogni tanto non può esimersi dall'occuparsi di quelle che considera minuzie, siano esse la ribellione di una piccola provincia meridionale del grande impero, i mugugni su qualche derivato, o le prosaiche sorti della nostra compagnia di bandiera,sulle cui vicende gli è persino toccato partecipare a un pranzo milanese tra i devoti di Malpensa e Tommaso Padoa Schioppa venuto a tastar loro il polso.

Anche se quella che doveva essere una pura presenza di cortesia nei confronti del ministro del Tesoro è stata ripagata dal sentire un inedito Giovanni Bazoli perorare con fervore la causa di Alitalia-Air One.

Ma terminata la italica tre giorni, Profumo è finalmente tornato ad occuparsi delle cose che predilige. E di una in particolare. Da qualche tempo, infatti, gli ronza per la testa un nome, Merrill Lynch, e un numero, 29 miliardi di euro (la sua capitalizzazione di Borsa), che inducono in tentazione anche un uomo prudente e assennato come lui. Insomma, il banchiere che a botta calda, dopo l'acquisto di Capitalia, aveva detto ad analisti e investitori che bastava così, che il futuro prossimo di UniCredit sarebbe stato occupato a digerire il gran boccone, starebbe invece guardando con molta attenzione oltreoceano.

Ovvero a quella che,nonostante i grossi guai che sta attraversando, resta pur sempre la più grande e blasonata banca di investimenti del mondo.

«Se non ora, quando?» deve aver pensato Profumo facendo qualche conto: la crisi dei subprime ha dimezzato il valore di Borsa di Merrill Lynch, e ancora ieri, sulla scia di una trimestrale da brivido, a Wall Street il titolo affondava. Il cambio-euro dollaro propone una congiuntura favorevole e forse irripetibile per comprare negli Stati Uniti. In più l'establishment finanziario americano, che per risolvere la malaparata delle sue banche sta aprendo le porte a tutti purché ricchi, dopo arabi e orientali non dovrebbe disdegnare l'ingresso di una banca italiana di nome, ma internazionale di rango. Insomma, un'operazione che in altri tempi sarebbe stata impensabile, in bilico tra l'audace gestoe il reato di lesa maestà, diventerebbe in questo contesto assolutamente praticabile.
In fondo si tratterebbe di mettere insieme, con uno scambio di azioni, due società che già fanno dell'azionariato diffuso il loro punto di forza. Ne nascerebbe una terza sotto la leadership di Profumo UniCredit capitalizza due volte e mezza Merrill Lynch - , a questo punto più imperituramente consacrato alla fama di banchiere globale, libero del tutto di staccarsi dalle vicende domestiche senza l'accusa di snobismo. Quindi non solo via da Corriere della Sera e Banco di Sicilia, che tanto sta a cuore ai politici locali verso i quali i possibili pretendenti ( si scommette su Intesa o sui francesi di Bnp) potrebbero mostrarsi più morbidi, ma dalla stessa Mediobanca, ergo dalle Generali, la cui presenza porta più guai che benefici, essendo quello di piazzetta Cuccia lo scrigno dove sono racchiuse le partecipazioni cardine di quel capitalismo di relazioni che Profumo cordialmente detesta.

C'è un altro motivo poi che rende l'ipotesi Merrill Lynch tutt'altro che peregrina. Caratterialmente, il banchiere è uno che reagisce ai momenti di difficoltà come quello che sta vivendo alzando vertiginosamente la posta. Dopo la fusione con Capitalia, il buon vento che in questi anni ne ha accompagnato l'irresistibile ascesa gli si è un po' girato contro. Intendiamoci, Profumo resta il dominus incontrastato di UniCredit. Ma, prima, le polemiche sui derivati e, poi, il latente malumore degli azionisti – perché l'operazione sulla banca capitolina ha impiombato il titolo e portato con sé una serie di spiacevoli collaterali, in primis la riottosità del Banco diSicilia –gli stanno procurando qualche fastidio. Tutte cose che con un coupe de théâtre quale sarebbe l'acquisto di Merrill Lynch verrebbero di colpo spazzate via dalla risonanza dell'impresa.
Ironia della sorte. Giusto prima che il ciclone subprime devastasse i bilanci delle banche americane, l'idea di attaccare UniCredit stava sul tavolo di una primaria banca americana, che lo considerava un target ideale per dimensioni, dislocazione geografica e struttura della compagine azionaria. Insomma, qualcuno aveva pensato di ripetere con l'istituto milanese ciò che altri avevano fatto con la fino ad allora intoccabile Abn Amro.

Questo forse spiega perché, intervenendo in Bocconi alla presentazione del libro di Marcello Messori sul potere delle banche, Profumo abbia intessuto le lodi di quel 5 per cento che è la clausola di sbarramento per i diritti di voto dei soci UniCredit, una poison pill che obbligherebbe chi vuol comprarsi la banca a lanciare un'Opa su tutto il capitale. Forse il banchiere era al corrente di qualcuno intenzionato a provarci. Forse era solo un modo per dire agli americani: volevate scalare me, e ora sono io che invece penso di scalare voi.

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