Effetti della crisi. Si riduce anche il patrimonio dei «golde boy» dell hi-tech
Continueranno a guadagnare un dollaro l'anno, benché il crollo del valore delle azioni abbia falcidiato i patrimoni dei Golden boy
dell'hi-tech. Per i multimiliardari di San José, capitale della Silicon Valley, alle porte di San Francisco, dove sorgono i colossi dell'elettronica, stock option ed executive compensation negli ultimi 12 mesi hanno subito pesanti svalutazioni.
Per i fondatori di Google, Sergey Brin e Larry Page, la flessione dei titoli della società detenuti in portafoglio è costata a ciascuno 8,5 miliardi di dollari e 3 miliardi di dollari al Ceo, Eric Schmidt. Una perdita che a Schmidt è stata compensata con 480,5 milioni di dollari in benefici addizionali, tra cui i costi sostenuti per la sua sicurezza personale. I magnifici tre di Google che nella classifica di Fortune dei più potenti businessmen occupano la quarta posizione, quest'anno probabilmente vedranno ridursi il loro patrimonio, ma saranno in buona compagnia.
La crisi dei mercati, destinata a durare a lungo, non ha risparmiato neppure un magnate come Bill Gates, al settimo posto nella classifica di Fortune, che ha visto svalutarsi di 7,1 miliardi di dollari il valore degli 857,5 milioni di azioni Microsoft detenute in portafoglio. Pesante la perdita per il fondatore di Oracle, Lawrence Ellison per 2,8 miliardi di dollari, mentre è riuscito a contenerle Steve Jobs: il numero uno di Apple e al vertice della classifica di Fortune, ha fermato le svalutazioni delle sue azioni detenute in portafoglio a 296,5 milioni. Meglio di lui ha fatto John Chambers, Ceo di Cisco System con una perdita di 22 milioni di dollari, dopo essersi piazzato all'undicesima posizione tra i più potenti businessmen al mondo. Passando a Yahoo! il Ceo Terry Semel è riuscito a contenere la svalutazione in 9 milioni di dollari, il co-fondatore Filo David deve invece fare i conti con un patrimonio ridotto di 418 milioni di dollari. Più cauto Jerry Jang che con David ha ideato il motore di ricerca che recentemente ha ricevuto l'offerta di Microsoft: ad agosto ha venduto 42,9 milioni di azioni, azzerando la sua quota di titoli detenuti in portafoglio, incassando più di un miliardo di dollari.
Perdite nette, in molti casi compensate da una politica remunerativa che premia lautamente i manager. Nel caso di Yahoo!, il comitato remunerazione ha deciso di assegnare a Terry Semel 6,8 milioni di stock option in un anno in cui il titolo ha subito un crollo in Borsa del 35%: proprio Semel nel 2006 aveva ricevuto un compenso di 107,5 milioni di dollari, il più alto tra i Ceo di Wall Street. Una politica che è stata duramente criticata in assemblea dagli azionisti di minoranza che hanno votato contro la rielezione di alcuni componenti del cda. Eppure lo stesso Semel, come molti altri executive di San José, tra cui lo stesso Steve Jobs di Apple, Eric Schmidt di Google, insieme a Sergey Brin e Larry Page, dichiarano di ricevere simbolicamente uno stipendio annuo di un dollaro.
Questo avviene dal 2003 dopo lo scoppio della bolla hi-tech: i manager superpagati negli anni dell'euforia tecnologica, quando gli stipendi viaggiavano tra i 10 e i 15 milioni di dollari, vollero dare un segnale agli azionisti e da quel momento decisero che le loro remunerazioni fossero legate unicamente alle performance azionarie. Bisogna arrivare alla crisi finanziaria di questi mesi per ritrovare le stesse difficoltà: come allora i titoli viaggiavano sulle montagne russe. L'ultimo caso è proprio quello di Oracle che ieri dopo avere perso il 9% sulla pubblicazione dei dati trimestrali, ha rialzato la testo terminando le contrattazioni con una timida flessione dello 0,25 per cento. E i portafogli dei Golden boy, per ora, sono salvi.