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Trichet non segue Bernanke

dal nostro inviato Adriana Cerretelli

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Giovedí 27 Marzo 2008

BRUXELLES. Primo, «il peggio della crisi finanziaria non è ancora alle spalle, è un processo in corso che si accompagna a correzioni di mercato molto importanti, in presenza di una volatilità dei cambi che preoccupa».

Secondo, «l'inflazione nel 2008 resterà abbondantemente sopra l'obiettivo stabilito del 2%» (3,3% in febbraio nell'area euro, ndr): quindi non c'è spazio per seguire la via americana al ribasso dei tassi di interesse che, al 4% sono in Eurolandia al livello più alto degli ultimi sei anni ma «contribuiranno a tenere sotto controllo l'aumento dei prezzi».

Terzo, «in tempi di shock esterni, resta imperativa la strada della moderazione salariale con aumenti legati all'incremento della produttività mentre l'indicizzazione dei salari creerebbe le premesse di una spirale inflazionistica e di qui aprirebbe la strada a un massiccio aumento della disoccupazione».

Quarto, «malgrado i fondamentali sani, l'economia europea si avvia verso una situazione sempre più difficile, comincia a sentire i morsi della crisi anche se per ora resta confermata la previsione di crescita corretta all'1,8% per il 2008 rispetto al 2,2% originario».

Sono questi i messaggi tutt'altro che esaltanti per il futuro a breve lanciati ieri a Bruxelles dal presidente della Bce Jean-Claude Trichet e dal commissario Ue agli Affari economici Joaquin Almunia. Analisi parallele ma in perfetta sintonia tra loro. Trichet era chiamato a parlare, per la consueta testimonianza mensile, davanti alla commissione Affari economici e monetari dell'Europarlamento. Almunia, invece, ha presentato l'altrettanto consueto rapporto trimestrale sull'andamento dell'economia della zona euro.

Nonostante alcuni «elementi incoraggianti» come la crescita sostenuta degli investimenti, le stime della produzione industriale «più favorevoli del previsto», gli indicatori della fiducia nel settore industriale «che hanno resistito bene negli ultimi mesi», il clima generale si va degradando, si legge nell'analisi di Bruxelles. I motivi? «La persistente incertezza sulla durata e sul costo finale della crisi finanziaria in atto, l'indebolimento della crescita dell'economia americana e l'aumento dei prezzi delle materie prime». Non meno che la corsa apparentemente inarrestabile dell'euro rispetto al dollaro, che erode competitività all'export Ue. Se la crescita della zona continua a tenere è grazie alla crescita dei mercati emergenti.

Che però evidentemente da soli non bastano a decongestionare un'atmosfera che si va facendo progressivamente sempre più tesa e preoccupata. Dopo aver per mesi e mesi tentato di sdrammatizzare accreditando l'ipotesi di un'Europa in qualche modo al riparo, grazie ai fondamentali sani, dai contraccolpi di una congiuntura globale malata di instabilità finanziaria cronica, ormai Bce e Commissione Ue giocano in squadra per suonare l'allarme, sia pure debitamente calibrato, per evitare di cadere nel pessimismo.

E così ieri Trichet da un lato ha ribadito la sua presa di distanza dall'approccio della Fed americana sui tassi difendendo la propria politica monetaria: «Riducendoli senza un'adeguata giustificazione in termini di lotta all'inflazione, avremmo di fatto chiesto ai cittadini europei di pagare al posto delle banche i costi della crisi finanziaria». Diversamente dagli Usa, ha aggiunto, l'Europa può contare sui propri risparmi per finanziare gli investimenti e sull'equilibrio della bilancia dei pagamenti. Ma questo non la vaccina contro il contagio dell'instabilità finanziaria. E contro l'assenza di trasparenza dei mercati, additata ancora una volta come la grande causa delle pericolose turbolenze che scuotono l'economia globale ed europea.

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