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Volare per un dollaro d'onore

di Gianni Dragoni

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24 Aprile 2008

Un dollaro per comprare una compagnia aerea. Non è un'offerta al ribasso per l'Alitalia presentata da qualche nuovo pretendente, dopo il ritiro di Air France-Klm. Anche se non si può escludere che, entro qualche mese, questa sia la fosca realtà. Il dollaro in questione, si racconta a Hong Kong, l'avrebbe offerto Stanley Ho, il magnate dei casinò di Macao, per rilevare Oasis Airlines.
Oasis è l'esempio di cosa non debba fare un'aviolinea per avere successo. La società di Hong Kong ha cominciato i voli nell'ottobre 2006 tra l'ex colonia britannica e Londra Gatwick con un Boeing 747-400. Offriva biglietti superscontati rispetto a Cathay, British Airways e Virgin Atlantic. Un modello low cost applicato al lungo raggio, secondo una recente tendenza che viola una regola ferrea per i vettori a basso costo: non fare voli più lunghi di tre ore, ad esempio la distanza da Roma a Londra (o a Mosca).
Questo limite, applicato da Ryanair e easyJet, ha lo scopo di abbreviare i tempi morti, con l'aereo fermo, accelerare le rotazioni, far tornare il personale a casa ogni sera e quindi non pagare alberghi.
Oasis si è fermata il 9 aprile e ha portato i libri in Tribunale. In dicembre è stata messa in liquidazione la statunitense Maxjet, la prima negli ultimi due anni a fare voli low cost transatlantici (da 8-10 ore), con posti solo in business class. Lo stesso modello, lungo raggio e classe affari tra Londra e New York, è stato abbracciato da altre tre nuove compagnie, l'inglese Silverjet, la statunitense Eos, la francese L'Avion. Silverjet, che puntava al primo utile operativo in marzo, ha appena ammesso che i conti restano in rosso. Le azioni valgono un decimo del prezzo di collocamento, 112 pence, nel maggio 2006.
Questi esempi mostrano quanto sia facile, nel trasporto aereo, fallire tentando di trasferire un modello di successo ad altre situazioni di mercato. Secondo molti esperti, è impossibile per una low cost battere sul lungo raggio le compagnie tradizionali, i «network carrier», che hanno un aeroporto principale (hub), da cui partono come raggi sia voli intercontinentali sia a breve e medio raggio, necessari ad alimentare l'hub.
Nei voli lunghi aumenta il numero di passeggeri disposti a pagare di più per un comodo posto, di vera business o di prima classe. Questo è il settore più redditizio del mercato, salvo casi di monopolio su rotte di nicchia, quali la Roma-Milano Linate, sostanziale duopolio tra Alitalia ed Air One.
«Negli ultimi anni, una serie di eventi traumatici sul trasporto aereo, dal rincaro del carburante a varie guerre, hanno creato una fortissima pressione sui costi. Le compagnie hanno selezionato un modello meno ibrido rispetto al passato», spiega Roberto Scaramella, partner di Bain & Company, esperto del trasporto aereo, che ha curato insieme a Lorenzo Ferroni e Roberto De Meo uno studio sugli scenari internazionali.
«Abbiamo quattro modelli principali. Quello tradizionale di "network carrier" completa, quello di voli punto-punto, cioè il vettore regionale, il low cost, infine il charter». La pressione concorrenziale sui ricavi e la spinta dei costi ha accelerato il consolidamento in Europa, dove ci sono tre gruppi leader, Air France-Klm, Lufthansa, British Airways (Ba).
«Ci sono tre passaggi, dalle intese commerciali di code-sharing, alla partecipazione ad alleanze strategiche, fino agli accordi societari veri e propri, come acquisizioni o fusioni», osserva Scaramella. «I primi due portano benefici essenzialmente nei ricavi, perché l'ampliamento dell'offerta e l'effetto rete fanno aumentare le vendite e il coefficiente di riempimento degli aerei (load factor). Il vero miglioramento del conto economico, però, si ottiene con le acquisizioni o fusioni, di solito associate a una riduzione di costi».
Secondo le analisi di Bain, la polacca Lot ha migliorato il load factor di 15 punti nei cinque anni successivi all'accordo di code sharing con Lufthansa del 2002. Il code sharing è una condivisione del codice di volo sugli aerei di entrambi (o più) vettori partner. Bain rileva che dall'accordo di code sharing con Ba del 2004, Iberia ha ottenuto un aumento di cinque punti del load factor in soli due anni (dal 75 all'80%), rispetto a una media mondiale del 76 per cento. Ora Ba è azionista di Iberia con il 13,15%, accanto a banche spagnole che tentano di difendere la bandiera.
«Compreremo tutto insieme, dalla carta igienica agli aeroplani». A Francoforte era un'afosa giornata del maggio 1997 quando Juergen Weber, all'epoca amministratore delegato di Lufthansa, annunciava cosa avrebbero fatto insieme le cinque compagnie che avevano deciso di unirsi nella Star Alliance. C'erano anche United, Sas, Air Canada, Thai. Un'alleanza senza incroci azionari, che puntava a creare un coordinamento delle attività in tutto il mondo, a migliorare le coincidenze, a unificare il personale negli scali, avere le stesse salette di business class negli aeroporti, accomunare i programmi che premiano con biglietti gratuiti i clienti più assidui, i frequent flier.
  CONTINUA ...»

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