Piazza Affari si conferma il regno dei dividendi. Sfogliando tra i rendimenti delle blue chip della Borsa italiana, salta fuori che il dividend yield ponderato dell'S&P/Mib,calcolato sul prezzo di chiusura al 31 marzo scorso, è del 5,6%. Un valore che, seppure il difficile confronto viste le diverse metodologie di calcolo, resta sempre più alto degli altri listini europei. La City londinese, per esempio, secondo i dati Bloomberg vanta un rendimento attorno 4,14%. Il Cac40 parigino, dal canto suo, si ferma al 3,44% mentre Francoforte si accontenta di poco meno del 3%. Certo l'indice tedesco, negli ultimi tempi, ha perso meno dell'S&P/Mib: questo, giocoforza, riduce il dividend yield che è un rapporto con al numeratore la cedola e al denominatore il prezzo di Borsa. Ma ciò non basta a giustificare il ritorno garantito da Piazza Affari. «Le blue chip italiane- ricorda Sergio Pigoli, presidente di Pigoli consulenza - da sempre gratificano l'azionista con una buona cedola: le proposte dei board sul dividendo 2007 hanno confermato la regola». Nonostante la crisi? «Certamente. Al calo dei listini non ha corrisposto un crollo degli utili, anzi. Il pay-out è stato mantenuto se non aumentato, facendo salire i rendimenti». Prova ne sia, per esempio,la cedola di A2A: l'utility ha deciso per un dividendo di 0,097 euro per azione, in crescita del 38,6% rispetto al 2006. Ancora: Atlantia, sebbene non si sia fatta prendere dall'euforia nell'aumento della cedola (+9,7%), ha comunque deciso di sborsare ai soci 0,68 euro per azione. Di più: l'assemblea di Fiat ha dato il suo ok alla distribuzione di un dividendo complessivo di 522,6 milioni; la casa automobilistica farà correre nelle tasche dei suoi azionisti 0,40 euro lordi ( per ogni titolo ordinario e privilegiato) e 0,555 per le risparmio. Ovviamente, però, non è solo questione di buon andamento dei conti.
I tagliatori di cedole
Passando ai raggi x l'indice S&P/Mib, ci si imbatte spesso e volentieri in aziende che hanno soci "assetati" di cedole. «Basta guardare ricorda Carlo Gentili, fondatore di Nextam- alle molte utility:come non pensare che i comuni azionisti, o lo stesso Statoazionista, non facciano conto anche sui dividendi per far quadrare i propri bilanci ». Senza dimenticare, inoltre, che in business quali l'energia la cedola "alta" è agevolata. «Si tratta - dice Pigolidi settori regolamentati, ex monopoli, dove i flussi di cassa sono garantiti e la presenza di un buon dividendo è quasi l'obbligo».
A "fianco" delle utility, inoltre, ci sono gli istituti finanziari che notoriamente hanno un dividend yield elevato: i banchieri, si sa, devono ben remunerare soci forti quali per esempio le Fondazioni. Se si considera, poi, che Intesa Sanpaolo e UniCredit, da sole, pesano per oltre il 27% sull'indice si capisce perché il rendimento del paniere delle blue chip italiane sia così alto. Il discorso sarebbe diverso nell'ipotesi di una forte presenza di aziende tecnologiche. In quel caso, nei titoli cosiddetti growth, la cassa in teoria dovrebbe essere utilizzata per finanziare ricerca e sviluppo, per cercare la crescita. Ma simili aziende, tra le blue chip italiane, si contano sulle dita di una mano. E così, alla fine, la mietitura delle cedole dà sempre buoni risultati.
Capitalismo immaturo
Già, l'alto dividendo. Una situazione che, per alcuni, è la metafora di una certa immaturità del nostro capitalismo. «Se analizziamo l'S& P500 –afferma Gentili – ci accorgiamo che il dividend yield è basso, attorno al 2%. Negli Stati Uniti la norma è re-investire gli utili in azienda. È molto più diffusa l'idea che l'imprenditore, invece di creare una "rendita" con la cedola, debba puntare a fare crescere la sua società. Il vero ritorno l'azionista non l'ha guardando al rendimento del dividendo bensì al Roe, cioè al return on equity». Come dire, insomma: «è meglio avere una società con un rapporto utili/ patrimonio netto che sale e un dividend yield pari a zero ». Con un'avvertenza: il Roe alto deve essere l'espressione di una crescita sana. Negli Stati Uniti, infatti, molte aziende (spesso le banche) avevano il "vizietto" di mantenersi sotto capitalizzate: con un denomina-tore basso, giocoforza, il Roe sale. Anche se l'azienda,magari,rischia di andare gambe all'aria. «Inoltre – aggiunge Gentili–, in un'ottica d'investimento di lungo periodo, i dividendi dicono poco o nulla» Per quale motivo? «Appena staccata la cedola, il prezzo del titolo viene adeguato al ribasso dello stesso valore del dividendo staccato».
Il sostegno al titolo
Affermare che il rendimento da cedola sia «inutile» ha il retrogusto della provocazione. Anche perché, in momenti di crisi dei mercati, una delle strategie per sostenere i corsi azionari (ed evitare di diventare facili prede) è proprio garantire il dividendo, magari unito a un bel piano di buy-back. E, tuttavia, gli indizi che la cedola non sia così più efficace non mancano: basta guardare al business delle Tlc. Certo, Telecom Italia ha ridotto il dividendo e il titolo ha ceduto. Tuttavia, se si guarda un po' più in là del proprio naso, i numeri dicono un'altra cosa. Telefonica, che ha un dividend yield piuttosto basso (3,3% quello stimato per il 2007) negli ultimi 12 mesi ha messo a segno un rialzo attorno al 12%. Deutsche Telekom, dal canto suo, che vanta un rendimento del 7,8%, ha lasciato sul parterre oltre il 13%. «È il segnale - spiega Maurizio Esentato, esperto telecom per Calyon che il mercato vuole strategie industriali, diversificazione del business, innovazione tecnologica e di prodotto. Il dividendo? Non è più così rilevante».