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Cit, perquisizioni a tappeto. Ipotesi di dissipazione post-fallimentare

di Stefano Elli

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2 APRILE 2008

Oltre cento uomini, tra finanzieri e carabinieri, sono impegnati in tutta Italia in una serie di perquisizioni mirate e di interrogatori che proseguiranno anche quest'oggi.
Obiettivo dell'operazione acquisire documenti e riscontri su alcune specifiche operazioni condotte su società del gruppo Compagnia italiana turismo in amministrazione straordinaria (legge Marzano) sin dal marzo 2006. Le perquisizioni, disposte dal sostituto procuratore della Repubblica di Milano Riccardo Targetti che indaga su uno dei versanti del crack della Cit, sono stati eseguite ieri negli studi e nelle abitazioni di alcuni dei tre maggiori indagati. Tra questi Ignazio Abrignani, avvocato, già capo della segreteria di Claudio Scajola, e da Scajola (allora ministro delle Attività produttive) nominato commissario straordinario del gruppo turistico. E poi Gianvittorio Gandolfi, alla guida del gruppo sin dalla sua acquisizione dalle Ferrovie dello Stato, e Arcangelo Taddeo, architetto pugliese, ritenuto tra i dominus dell'intera vicenda. Oltre a loro sono stati visitati, tra gli altri, gli studi di due altri indagati: Giuseppe Vimercati già alla testa del Mediocredito lombardo che, nel luglio 1998, finanziò Gandolfi per l'acquisto della Cit dalle Ferrovie dello Stato e, ancora, di Giovanni Natali, amministratore delegato del gruppo dal 20 gennaio 2003 al 16 marzo 2004.


Aldilà della cronaca non può passare inosservata la circostanza che si tratta del primo caso dall'entrata in vigore della legge Marzano (il decreto 347 del 23 dicembre 2003) che un commissario straordinario nominato dal governo finisca sotto inchiesta per fatti inerenti allo svolgimento del proprio incarico. Ecco perché nella mattinata di ieri i militari guidati dallo stesso Pm e affiancati dal Consulente tecnico Gian Gaetano Bellavia, che è a capo del servizio Antiriciclaggio dei commercialisti di Milano, si sono presentati anche alla sede del ministero dello Sviluppo Economico, chiedendo l'esibizione di documenti relativi sia al periodo della gestione di Abrignani, sia di quella del suo successore alla testa della procedura Antonio Nuzzo (che non risulta indagato).


Tra gli uffici visitati dai finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Varese spicca anche la sede centrale delle Assicurazioni Generali di Mogliano Veneto e non è un caso. I reati per cui si procede, infatti, sono il 216 secondo comma, il 219 1ڥ 2ڣomma e il 223 della legge fallimentare: significa dissipazione postfallimentare. E proprio le Generali sarebbero state le beneficiarie finali degli episodi contestati dal Pm. Nel dettaglio i fatti sarebbero stati riscontrati nell'esame di circostanzeconseguenti alle erogazioni di due contratti di programma. Erogazioni di cui sono state beneficiarie sei società del gruppo Cit, e che hanno prodotto i propri effetti anche nella fase successiva al Commissariamento.


Vediamoli. Le sei società finite nel mirino della Procura sono: la Hotel La Morgia, la Casa di Pietrelcina, e il Centro Campano. A favore di queste tre Srl era stato approvato dal Cipe, nel febbraio 2003 un contratto di programma con un'erogazione di circa 25 milioni di euro. In precedenza, nel marzo 2002, alla Hotel Lucani, la Sable d'Or e l'Hotel Residence Sud (vedere organigramma a fianco) erano stati, sempre su stanziamento del Cipe, erogati fondi per un ammontare analogo.


Facciamo un passo indietro. Perché lo Stato eroga i fondi? Perché le società beneficiarie possano, unitamente a capitali propri, utilizzare contributi pubblici per eseguire le opere oggetto, appunto, del "contratto di programma": villaggi turistici e hotel. Lo Stato però non può erogare a fondo perduto. Chiede garanzie agli amministratori delle Srl (cioè del gruppo Cit). Se le opere non dovessero essere realizzate i contributi pubblici debbono essere rimborsati. Per avere la garanzia della restituzione del denaro agli imprenditori viene chiesto di accendere una fidejussione. Questa può aversi attraverso le banche (le quali accordano tali garanzie con l'accensione di pegni e ipoteche) o attraverso le assicurazioni. E qui entrano in gioco le Generali. Il leone di Trieste con i vertici delle società interessate ai contratti di programma stipula sei polizze (quelle elencate nella tabella in basso). Tutto sembra funzionare sino a quando il gruppo si avvita in una progressiva situazione di difficoltà. Non onora i contratti di programma con lo Stato né esegue i lavori. Gli anticipi dei contratti li aveva però già incassati da tempo. La situazione si trascina per un anno e mezzo (con il solito e ben noto balletto di ipotetici cavalieri bianchi che appaiono e si defilano) sino a quando non si decide di arrendersi all'evidenza: i soldi non ci sono più. Si arriva così al 16 marzo del 2006 e il gruppo Cit viene ammesso alla procedura di Amministrazione straordinaria. Ed è in questa fase che si concretizzerebbe il reato. Il Commissario Abrignani il 9 maggio 2006 senza «obbligo, ragione, causa o necessità » in qualità di amministratore si co-obbliga nei confronti di Generali. Che cosa significa? Che a rispondere della mancata restituzione allo Stato per le erogazioni non saranno soltanto i sottoscrittori delle polizze ma anche la stessa procedura. E, di fatto, grazie a questa mossa le Generali diventerebbero i primi, in prededuzione, nella gerarchia dei creditori del Gruppo Cit, sopravanzando gli stessi dipendenti. Tanto che, lo scorso 25 febbraio le stesse Generali, hanno presentato un'istanza di insinuazione al passivo del gruppo Cit per l'esatto ammontare delle polizze emesse: 31.235.389 euro. Una somma che, tra l'altro, euro più o euro meno, corrisponde a quella che l'attuale Commissario Antonio Nuzzo, stima di poter ricevere dal gruppo Soglia e da Aareal bank dopo la vendita del gruppo definita qualche settimana fa. Le Generali, dal canto loro fanno sapere di avere agito correttamente e nel pieno rispetto delle regole. Di analogo tenore le dichiarazioni di Abrignani: «Si trattava – dichiara a «il Sole- 24ore»- di obbligazioni che non erano sorte da me, ma il fatto di rinnovare le polizze, pena la loro decadenza, avrebbe creato un danno oggettivo. E in quella fase non ci si deve dimenticare che io avevo l'obbligo di gestire e non già quello di liquidare».

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