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Massimalismo in bancarotta

di Franco Locatelli

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3 APRILE 2008

Dopo la clamorosa rottura delle trattative con Air France e le dimissioni del presidente di Alitalia verrebbe da dire che i sindacati, con il loro massimalismo d'altri tempi, si meriterebbero il fallimento della nostra compagnia aerea. Ma bisognerebbe chiedersi se lo meritano anche il Paese e i lavoratori di Alitalia, che avrebbero invece il diritto e il dovere di mandare a casa un vetero-sindacalismo che è tra le cause principali della bancarotta aziendale.


È impossibile dare torto al presidente Prato quando dice che «su Alitalia pesa una maledizione e che solo un esorcista può salvarla». Di questa maledizione i sindacati, oltre ovviamente alla maggior parte delle forze politiche, portano tutta intera la responsabilità. Se non si è trattato di una spericolata mossa tattica dell'ultima ora, non si poteva ragionevolmente pensare che la controparte francese accettasse di compromettere ogni ipotesi di accordo e di rilancio di Alitalia accollandosi gli oneri di tutte le attività di terra, come se le lancette dell'orologio tornassero indietro non di un anno ma addirittura di quattro, quando Az Service venne divi-sa dall'attività di volo della nostra aerolinea. Un macigno grosso così sulla via del negoziato poteva avere il solo effetto di far naufragare le trattative, come è di fatto accaduto.


A questo punto, come ha ricordato il ministro dell'Economia alla Camera, senza un'intesa sindacale con Air France non è percorribile la via di un prestito-ponte alla compagnia, che Bruxelles bollerebbe come aiuto di Stato, e siccome i soldi nelle casse di Alitalia sono contati la prospettiva del fallimento attraverso l'amministrazione straordinaria si fa drammaticamente concreta anche se slitterà a dopo le elezioni. Non è questo che meritava un Paese che, a dispetto dell'irresponsabilità della politica e dei sindacati, ha continuato a ripianare per anni le perdite di Alitalia. E non è questo che meritavano i dipendenti di una compagnia alla quale Air France e Klm offrivano un concreto piano di rilancio industriale e di risanamento finanziario con un impatto sociale che tra i tanti prospettati era ed è il meno doloroso.


È difficile immaginare che, se mai si materializzerà, una cordata alternativa a Air France possa realmente offrire ad Alitalia di più ed è per questo che oggi lo scenario è il più fosco che ci sia. A meno che i sindacati, sulla spinta dei 700 lavoratori che avevano manifestato sostegno alla trattativa con i francesi in una lettera al presidente Prato, non vadano a Canossa. Se invece non ci fosse alcun ripensamento sindacale i contribuenti italiani avrebbero tutto il diritto di pretendere che si accertino le reali volontà dei lavoratori di Alitalia attraverso un referendum. E avrebbero anche il diritto di ricordare a chi porta la compagnia al fallimento che questa è sì una prospettiva che hanno già conosciuto sia il Belgio che la Svizzera ma che, come ha rammentato ieri Padoa-Schioppa, Sabena è risorta dalle ceneri dopo aver ridotto le attività del 38%, la flotta del 29% e i dipendenti del 35% e la Swissair s'è fusa con la Virgin dopo aver tagliato la flotta del 43% e il personale del 50%. Se poi qualcuno si metterà a piangere, ci risparmi almeno le lacrime di coccodrillo.

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