All'assemblea Telecom di lunedì la vera gara per aggiudicarsi una rappresentanza in consiglio sarà quella tra le minoranze che si presentano con due liste concorrenti. La famiglia Fossati, titolare del 4,45%, ha già chiarito la sua posizione. Ora tocca ad Assogestioni declinare il programma. Per Marcello Messori, presidente dell'associazione che riunisce le Sgr italiane, il focus è la governance. «Ma vorrei precisare che le liste sono promosse dai nostri associati, Assogestioni svolge solo una funzione di coordinamento spiega Messori . Noi crediamo che sia consiglieri che sindaci debbano avere totale autonomia di mandato e che l'unico vincolo sia l'interesse della società di cui si è amministratori di minoranza».
Insomma, portate avanti principi di governance.
La questione centrale è che l'interesse della società sia effettivamente perseguito. Purtroppo la struttura proprietaria non permette sempre di differenziare gli interessi di azionisti e management. Nella nostra visione le liste di minoranza dovrebbero svolgere un ruolo di garanzia al fine di evitare l'estrazione privata dei benefici del controllo.
Cioé?
Vale a dire che l'azionista di maggioranza relativa possa estrarre maggior valore dalla sua partecipazione rispetto al suo reale peso azionario.
Ultimamente sono spuntate liste che rappresentano grossi azionisti di minoranza, ma non le minoranze di mercato. Per Telecom c'è il precedente di Hopa dello scorso anno.
Io credo che stiamo correndo un grosso pericolo, perché per un vero presidio di governance devono esserci vere liste di minoranza e non liste in qualche modo legate agli azionisti di maggioranza relativa. Con gli intrecci che ci sono in Italia, l'effettiva indipendenza dagli azionisti di riferimento è un problema serio.
Anche per il mondo del risparmio gestito.
Non nego che il tema si ponga. La gran parte delle sgr in Italia è controllata dalle banche che sono al centro degli intrecci societari, ma per la compilazione delle liste abbiamo cercato di adottare una procedura trasparente. I nominativi infatti vengono vagliati dal comitato governance e a decidere non è mai un singolo individuo.
I fondi esteri però non vi seguono. Di solito votano a favore della lista di maggioranza.
Gli investitori internazionali fanno fatica a capire il concetto delle liste di minoranza, perché le leggono come conflittuali rispetto al management. Nei Paesi anglosassoni, del resto, hanno un problema opposto al nostro che è quello delle public company.
Nel caso di Telecom pare però che questa volta siano orientati a votare contro le candidature di maggioranza.
Lo so: credo sia un segnale di disaffezione verso la corporate governance. Personalmente mi sto spendendo per spiegare all'estero che le liste promosse dagli investitori istituzionali sono le uniche che possono risolvere questi problemi e mi preoccupa il proliferare di liste "amiche". I fondi esteri però ribattono che non possono mettersi a misurare il grado di autonomia delle varie liste. Qualche risultato comunque l'abbiamo ottenuto. In Pirelli, per esempio, ci presentiamo insieme a Amber.
Ma non sarebbe il caso di cambiare la legge?
Piuttosto il problema è quello di interpretare correttamente la legge. Per esempio giudico molto positivamente la posizione assunta dalla Consob su Generali, perché ha colto il punto nella sostanza.
Un'ultima domanda: come giudica il tema dell'italianità, che si pone anche per Telecom. È un valore oppure no?
Non le rispondo da presidente di Assogestioni, ma da economista. Penso che il Paese deve essere in grado di trattenere le funzioni strategiche per la competitività del sistema. Poco importa poi se la proprietà è italiana.
A.OI.
