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In banca la porta d'ingresso è il contratto di apprendistato

di Claudio Tucci

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8 maggio 2008

In banca sempre più gonnelle e colletti bianchi. Negli ultimi dieci anni, infatti, la percentuale di laureati assunti negli istituti di credito italiani è salita dal 18 al 33%, mentre sul totale occupati, 4 dipendenti su 10 sono donne. E nel solo 2006, nonostante la bassa crescita economica del Belpaese (0,5% nel 2008), sono stati assunti 19mila nuovi impiegati, confermando la sostanziale tenuta del livello occupazionale del settore bancario nazionale. A dirlo, in un convegno in corso a Palazzo Altieri, a Roma, è il presidente dell'Abi Corrado Faissola, che rivela come in banca si entri, soprattutto, attraverso il contratto di apprendistato. «Una vera e propria "porta d'ingresso" - dice - che favorisce un'occupazione flessibile, ma allo stesso tempo non precaria».

Dal convegno è emerso, poi, come anche il settore bancario abbia risentito del cambiamento del nuovo mercato del lavoro e del notevole progresso tecnologico del sistema. «Ma tutto ciò - sottolinea il direttore generale dell'Abi Giuseppe Zadra - non ha limitato l'offerta di lavoro grazie, soprattutto al significativo sviluppo della domanda di servizi finanziari e bancari». Per Zadra, la vera sfida è, ora, «innovare i modelli di gestione delle risorse umane nell'ambito dell'evoluzione degli assetti organizzativi». Tra le possibili soluzioni, spazio, in particolare, alle novità contenute nel recente rinnovo del contratto di settore: premi aziendali e peculiare sistema di incentivazione del personale. In primo piano, poi, anche la modifica della figura contrattuale dell'apprendistato, ridotto a un solo livello di sottoinquinamento.

Punta il dito, invece, sulla necessità di un nuovo modello di sindacato e un rilancio della contrattazione aziendale l'economista Pietro Ichino. L'ideale, per Ichino, è che i due modelli diversi di sindacato oggi esistenti, quello che persegue la sicurezza del posto di lavoro e quello capace, invece, di gestire la scommessa, «potessero competere tra loro e che lavoratori e imprenditori potessero scegliere il modello che ritengono capace di produrre i risultati migliori». Ma per questo, conclude Ichino, occorrerebbe «che venisse lasciato molto più spazio e libertà alla contrattazione aziendale, conservando il Ccnl come disciplina di default».

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