Il fenomeno derivati venduti agli enti territoriali assume connotati sempre più allarmanti, alla luce dei dati forniti dal Tesoro e pubblicati da Il Sole 24 Ore del 6 maggio 2008. In totale, gli enti territoriali italiani hanno sottoscritto contratti, al 31/12/2007, per un valore nozionale di 35,28 miliardi di Euro, a fronte di 25,65 miliardi del valore dei mutui con il sistema bancario e dei 33,33 miliardi di mutui con la Cassa Depositi e Prestiti.
Quale è la differenza tra il nozionale di un mutuo e quello di uno swap?
E' semplice: il nozionale di uno swap è una "posta virtuale", cioè una posta che non verrà mai scambiata dagli operatori nel corso della vita del contratto. Essa serve per calcolare i flussi di cassa che le controparti si scambieranno fino alla scadenza. In poche parole, si tratta della "dimensione" della scommessa, e quindi del potenziale di perdita ad essa associata. Il fatto di non aver capito cosa fosse il nozionale e di averne sottovalutato gli effetti in quanto "posta virtuale" ha portato molti comuni a perdere il controllo della situazione e a ritrovarsi a pagare flussi di cassa non più sostenibili.
Un passo indietro
Come è cominciata la storia dei derivati? Perché gli enti locali hanno cominciato a sottoscrivere contratti dei quali spesso non avevano mai sentito parlare prima? Proviamo a dare alcune risposte di seguito:
a) Problemi di liquidità. I tagli alla spesa pubblica da parte del governo dalla fine degli anni novanta hanno, in alcuni casi, posto gli enti alla disperata ricerca di liquidità. I contratti swap, per come sono stati proposti da alcune banche, sembravano la soluzione al problema. Essi infatti prevedevano l'elargizione di una somma ai comuni da parte della banca al momento della stipula del contratto (upfront). Una sorta di "bonus di entrata" o, più realisticamente, specchietto per le allodole. La somma iniziale era infatti più che compensata da una serie di probabili esborsi futuri degli enti, tali da metterli in ginocchio nel giro anche di 2 o 3 anni successivamente alla data di stipula;
b) Copertura dal rischio. Altri enti, spesso in buona fede, hanno ritenuto di sottoscrivere contratti di copertura dal rischio di rialzo dei tassi (scenario sfavorevole per chi è indebitato a tasso variabile). Tuttavia, alcune clausole aggiuntive poste dalle banche hanno trasformato contratti di copertura in scommesse aleatorie dai flussi di cassa in uscita incontrollabili. E' un po' come se un giocatore principiante avesse giocato direttamente con il banco che, come in tutti i casinò, vince sempre;
c) Gestione attiva del debito. Alcuni amministratori hanno sottoscritto i derivati con la consapevolezza di "puntare" su scenari rialzisti o ribassisti dei tassi. Hanno, in pratica, svolto una gestione attiva del debito con alterne fortune;
d) Regolamentazione. La legge prevede che le emissioni obbligazionarie degli enti vengano ammortizzate anno per anno, in modo da non concentrare l'onere della restituzione del capitale solo alla data di scadenza. Per questo, gli enti hanno dovuto accantonare somme relative all'ammortamento annuale del prestito (sinking fund) oppure effettuare un amortizing swap. Anche in questo caso, alcune banche hanno approfittato della situazione inserendo clausole "esotiche" ai contratti, tali da esporre gli enti a rischi non necessari.
Il mark to market negativo e le perdite subìte
Le perdite subìte degli enti locali sono state rilevanti negli anni scorsi secondo i dati Consob. Ad esempio, nel 2006 si riscontrava un mark to market negativo cumulato per gli enti pari al 2.3% del valore del debito.
La perdita corrente per un ente, relativa ad una posizione swap, è quantificabile attraverso due indicatori: i flussi di cassa negativi già realizzati e il mark to market negativo. I flussi di cassa negativi, pagati dall'ente dalla data di stipula alla data corrente, si configurano chiaramente come perdite già realizzate: esse derivano sia dal fatto che lo swap era nato già sfavorevole per l'ente alla data di stipula, sia dal fatto che il mercato si sia mosso in maniera avversa rispetto all'ente. Il mark to market negativo (leggi: valore monetario del contratto) è quella somma che l'ente, qualora voglia cancellare oggi il contratto, dovrà pagare alla banca. Esso rispecchia la perdita attesa futura in termini di flussi di cassa, attualizzati alla data corrente. Da notare che spesso i contratti alla loro data di stipula "nascondono" un mark to market negativo per l'ente, naturalmente non dichiarato dalla banca.
E adesso cosa fare?
A fronte di tali perdite, risulta spesso istintivo cercare di liberarsi della posizione chiudendo il contratto alle condizioni attuali di mercato. Qui però bisogna fare attenzione in quanto questo approccio può risultare controproducente. Si rischia infatti di pagare altre commissioni implicite alle banche, probabilmente anche superiori a quelle già pagate in data di stipula.
In primo luogo, prima di prendere decisioni, è opportuno valutare quali sono i rischi effettivi del contratto, cioè quale esposizione esso dà rispetto a possibili esborsi nel futuro, fino alla scadenza. Qui è opportuno condurre un'analisi per individuare e valutare le conseguenze del worst case scenario, cioè capire quale è la perdita massima che si può ottenere sotto lo scenario di evoluzione dei tassi più sfavorevole all'ente. Se il worst case scenario è finanziariamente sostenibile, il consiglio di massima è quello di mantenere il derivato in portafoglio. Altrimenti, è necessario apportare delle modifiche per rendere il rischio "sostenibile".
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