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Bolla su bolla dai mutui alle materie prime

di Mario Margiocco

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8 giugno 2008

Per una generazione che ha vissuto e sofferto nel giro di poco più di 10 anni due grandi bolle speculative, le materie prime sono la nuova incognita. Il timore è che possano riservare ai mercati le stesse pessime sorprese della bolla di internet e di quella dei mutui subprime in America. E ripetere l'iter classico descritto da Charles P. Kindleberger: dall'euforia al panico e al crollo. Come sta succendendo al mercato immobiliare, con i prezzi che negli Usa sono scesi in meno di due anni del 15% (media nazionale), in Gran Bretagna del 4% (per ora) e in Spagna del 5 per cento.

Il boom è quando per scarsità di offerta o balzo della domanda i prezzi corrono. La bolla è quando i prezzi perdono il contatto con la realtà. Fra le materie prime, o commodities, non c'è solo il petrolio. A volare quest'anno sono stati proprio i due indici delle commodities. In particolare lo S&P Gsci ha avuto da gennaio a venerdì 6 giugno un rendimento su base annua del 72,9% mentre fino al 2007 aveva fatto registrare una media annuale del 14,4%.
La corsa è incominciata in sordina almeno tre anni fa. In prezzi costanti i valori massimi registrati all'inizio degli anni 80 dall'indice Crb (Commodity research bureau) venivano replicati tra la fine del 2005 e l'inizio del 2006. «Ma in prezzi reali, con l'inflazione, siamo ancora lontani dai livelli massimi, calcolati per ogni materia prima sulla media mensile del picco più alto raggiunto negli anni 70 o 80», dice Gayle Barry, responsabile per le commodities di Barclays Capital. Solo i prodotti petroliferi hanno sfondato i vecchi record. Per gli altri si va da un -1% per il platino a un -43% per l'oro, -54% per il mais, -80% per il cotone e -81% per l'argento. Per arrivare allo zucchero che in prezzo reale costa oggi poco più della metà rispetto al picco toccato allora. Barclays Capital, fra i più attivi nel seguire le commodities, è anche fra i più scettici nel parlare di bolla. Ma non tutti la pensano così.

Secondo Standard & Poor's, nel primo trimestre 2008 gli investitori istituzionali, fondi pensione in testa, hanno spostato non meno di 40 miliardi di dollari sulle materie prime, a copertura contro l'inflazione e il calo del dollaro. Si tratta di un balzo del 15-25% degli investimenti sugli indici e altri prodotti strutturati del settore sui quali già investivano a inizio anno tra i 150 e i 270 miliardi. E quindi di un sensibile aumento di liquidità a caccia di utili. La sola Calpers (il fondo dei dipendenti pubblici californiani) annunciava a gennaio di voler passare dai 450 milioni investiti a fine 2007 a 7 miliardi nel 2010. Secondo JPMorgan la presenza degli hedge fund potrebbe aggiungere altri 200 miliardi.
Ed è anche per l'eccesso di questa presenza speculativa, calcolata in 235 miliardi a metà aprile, che Lehman Brothers preannunciava il 19 maggio la fine del boom entro il 2008. Per la maggior parte dei minerali, non appena le incertezze sul rapporto domanda-offerta si saranno chiarite. Più lentamente, invece, per i prodotti agricoli. Il prezzo del riso, però, quasi raddoppiato da inizio 2007, è sceso recentemente del 25 per cento. Barclays Capital ha giudicato la stima di Lehman Brothers esagerata, dicendo che in aprile c'erano 139 e non 235 miliardi di investimenti speculativi.

Non tutte le materie prime, poi, sono uguali. Mentre stagno, rame e alluminio sono schizzati per una combinazione di calo dell'offerta e forte domanda, zinco, nickel e piombo si sono mossi nella direzione opposta. L'offerta ha bisogno di prezzi più alti per incrementare la produzione, anche se questa volta sono più forti i timori che, a fronte dell'esplosione della domanda (effetto Cina), non sempre sia possibile adeguarsi. È indicativo tuttavia che già un anno fa, secondo l'Associazione canadese dei datori di lavoro, il salario medio dei geologi fosse rapidamente aumentato del 40% e superasse ormai quello dei detentori di un master in business administration. I futures sul grano sono scesi a Chicago del 40% dai picchi di febbraio, a fronte di un massiccio aumento delle semine. Il mais è aumentato del 15 per cento.
Il boom delle commodities si spiega, oltre che con la maggiore domanda soprattutto asiatica, anche con la ricerca di garanzie (hedge) contro l'inflazione e il minidollaro. I prezzi in dollari, dice la tesi, sono saliti scontando già l'indebolimento di lungo periodo della valuta americana, come fecero 35 anni fa, cautelandosi da una moneta fornita in eccesso e quindi destinata a deprezzarsi. La bolla del dollaro creata dalla Federal reserve di Alan Greenspan avrebbe alimentato prima la bolla immobiliare e ora quella delle commodities. Molti miliardi di dollari fuggiti in tempo dalle cartolarizzazioni dei mutui hanno trovato terreno promettente qui. La bolla c'è probabilmente, e questa è la tesi di George Soros, fra gli altri, per il petrolio. Il mercato dei futures poi condiziona al rialzo tutto il settore.

La tesi della debolezza del dollaro come causa della corsa dei prezzi è in parte smentita dal fatto che le materie prime sono aumentate non solo in dollari (nel caso del mais +30,5% in dollari e +19% in euro). Ma l'ipotesi convergente dollaro debole/inflazione trova conferma storica se si analizzano i tre grandi periodi precedenti di corsa della commodities, tutti segnati dall'inflazione: 1939-1948, durato 7 anni e 6 mesi con un aumento medio di prezzi del 458%; più breve ma ben più intenso, pur senza una guerra mondiale, il più 620% del periodo 70-75, durato 4 anni e 8 mesi; un terzo periodo è a cavallo degli anni 80, prima che il dollaro venisse stabilizzato da Paul Volcker.

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